Dunque ai 47 migranti della Sea Watch 3 verrà garantito lo sbarco. Per raggiungere la conclusione che 47 esseri umani possono essere accolti in diversi Paesi ci sono voluti più di dieci giorni. Lussemburgo, Malta, Germania, Francia, Portogallo, Romania e Italia si faranno carico delle persone la cui vita è stata salvata dalla SeaWatch3. Il ministro degli Interni se ne è rallegrato sostenendo che la ragione per cui questi Paesi hanno accettato di accogliere qualche persona ciascuno è la linea dura scelta dal governo italiano. Il ministro ha anche auspicato che “in base alla documentazione raccolta, venga aperta un’indagine per fare chiarezza sul comportamento della Ong”. Gli stessi concetti sono stati ribaditi anche rispondendo alle interrogazioni parlamentari di diversi deputati dell’opposizione alla Camera dei deputati.
La polemica con le ONG
È corretta questa versione delle cose fornita dal governo? Noi pensiamo di no. Ma come sempre, per spiegarsi, occorre mettere ordine nella confusione generata dalla efficace propaganda governativa. Il primo aspetto riguarda la polemica con le Ong che sarebbero colpevoli di raccogliere i segnali di SOS nel mar Mediterraneo. Certo, se le barche affondassero con il loro carico di esseri umani il problema della redistribuzione dei richiedenti asilo non si porrebbe. O se le navi come la SeaWatch3 salvassero le persone e le riconsegnassero alla Libia, dove queste tornerebbero ad essere rinchiuse in centri di detenzione, maltrattate, taglieggiate e torturate. Ma se soccorrere le persone in mare è un dovere etico (oltre che un dettame delle leggi internazionali), la polemica è infondata. Quanto alla Libia, il velo sulle torture è squarciato molte volte (da ultimo da un rapporto di Human Rights Watch) e la non sicurezza del Paese è stata ribadita anche dalle agenzie internazionali.
Il divieto di sbarco
Il secondo aspetto riguarda il divieto di sbarco dei naufraghi (o di attracco per la nave). Non è pensabile che per “contrattare” la redistribuzione dei richiedenti asilo (o migranti che siano) all’interno dell’Europa sia necessario lasciare decine di persone e 13 minori su una nave per giorni. Prima si presta soccorso e si garantiscono le cure necessarie alle persone, poi se proprio si vuole, si tratta. A questo aspetto se ne legano diversi altri. I naufraghi non vengono fatti sbarcare perché la Convenzione di Dublino prevede che la richiesta di asilo venga fatta nel primo Paese Ue in cui si arriva. Come noto nell’ottobre 2017 il Parlamento europeo ha votato un testo di riforma di quella convenzione la cui ratifica da parte del Consiglio europeo (la riunione dei capi di governo) alleggerirebbe il peso sostenuto da Grecia e Italia (e Spagna) o di altri Paesi soggetti a flussi di richiedenti asilo imponenti e imporrebbe una ripartizione automatica delle quote.
La “non riforma” di Dublino
Il blocco di Visegrad e l’Italia, tra gli altri, hanno bocciato quella proposta. Al Parlamento europeo i due partiti che compongono la maggioranza di governo si erano astenuti (M5S) o avevano votato contro (Lega). Aspetto un po’ ridicolo in questa vicenda è che gli alleati dell’Italia in materia di “immigrazione” (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia) sono gli stessi che non accoglieranno una sola persona dei 47. Trovare soluzioni a lungo termine che superino l’emergenza continua non sembra essere un interesse di questa maggioranza di governo come non lo è per i componenti del gruppo di Visegrad.
La sentenza della Corte per i diritti umani
Se poi guardiamo alla sentenza della Corte europea per i diritti umani, usata da qualcuno per dire che no, non c’era nessuna urgenza di far sbarcare le persone recuperate in mare dalla SeaWatch3, scopriamo che: la sentenza riconosce la giurisdizione delle autorità italiane, chiede la nomina di un giudice tutelare per i minori (il quale giudice ne avrebbe potuto ordinare lo sbarco, cosa che ormai pare superflua), chiedeva che alle persone venissero garantite assistenza, cure e beni di prima necessità. La Corte annunciava che avrebbe monitorato la situazione, riconoscendo così che lo stallo non era da considerarsi una soluzione a tempo indeterminato.
Il processo a Salvini
Veniamo ad un aspetto parallelo a questa vicenda: quello dell’autorizzazione a procedere nei confronti del ministro Salvini per il caso della nave Diciotti – una nave italiana, l’Olanda non c’entra. Dopo aver detto “processatemi pure”, il ministro ha scritto al Corriere della Sera, è andato a Di Martedì ed ha deciso di presentarsi di persona alla Giunta per le autorizzazioni a procedere. Si tratta di un segnale indiretto che qualche timore per la propria condotta c’è. Il problema è quella che è la linea di autodifesa pubblica: “I barconi portano spacciatori e terroristi. Ad ogni barcone che arriva in Italia illegalmente dirò di no. Se per qualche magistrato è sequestro di persona per me è difendere i confini”. Ora, nello Stato di diritto vale quella singolare regola per cui si rispettano le leggi anche se si è ministri e si agisce in nome del bene (non è il bene come lo vediamo noi, ma non è questo il punto).
Se il ministro ha violato le leggi speriamo possa deciderlo la magistratura. In ogni caso violarle “perché la gente mi ha votato per quello” non è certo un buon argomento. Non lo è almeno per una figura istituzionale che ha giurato sulla Costituzione della Repubblica. E questo gli avvocati del ministro lo sanno, se è vero che l’atteggiamento nei confronti dell’autorizzazione a procedere è totalmente cambiato nel giro di pochi giorni. Ma i processi, l’atteggiamento da perseguitato dai giudici, gli attacchi alle Ong, la non riforma della Convenzione di Dublino sono tutti parte di un’intenzione: non affrontiamo il grande tema delle migrazioni, non quello della riforma dell’Europa. Lasciamo tutto in un equilibrio precario che genera ogni giorno una nuova crisi e, così facendo, facciamo in modo che tutto il dibattito politico venga rapito da una questione potenzialmente da nulla come lo sbarco di 47 persone. Diamo l’impressione che tutto cambi, ma facciamo in modo che non cambi nulla.