L’eco delle violenze di polizia sul suolo francese è giunto sin qui in Italia, certo non con la stessa forza e la stessa onda d’urto provocata dai recenti fatti negli Stati Uniti. Quanto accaduto a Parigi, riporta rapidamente alla memoria George Floyd. Ma le reazioni tanto a livello politico quanto dell’opinione pubblica sono differenti e la situazione è molto più complessa di quello che i media italiani ci stanno mostrando.
Vediamo i fatti. Quattro agenti di polizia francesi sono stati arrestati venerdì scorso, con l’accusa di “violenza da parte di una persona che detiene un’autorità pubblica e falsificazione di documenti pubblici” e per “atti di razzismo”, dopo il violento pestaggio di un uomo nero di 41 anni avvenuto nel 17° arrondissement di Parigi pochi giorni prima (il 21 novembre, ndr). Un caso che ha “scioccato” persino il presidente francese Emmanuel Macron (il quale ha affidato ad un lungo post su Facebook le sue dichiarazioni a riguardo) e che ha rilanciato nuovamente il dibattito ricorrente in Francia sul rapporto fra il razzismo e la violenza da parte della polizia. La vittima del brutale pestaggio, il produttore musicale Michel Zecler, ha dichiarato giovedì alla stampa che la polizia lo ha insultato e lo ha definito a più riprese “sporco negro” («Sale nègre»), picchiandolo. I 4 poliziotti sono stati incastrati dalle riprese interne dello studio di registrazione del produttore, nelle quali sono documentati gli interminabili 20 minuti del pestaggio e il lancio di un lacrimogeno fatto esplodere all’interno dello studio stesso. Tutto questo, pare, perché Michel non aveva indossato la mascherina. Secondo le riprese video, la polizia lo ha portato fuori dal suo studio e ha continuato a picchiarlo per strada prima di portarlo alla stazione di polizia.
Il video del pestaggio, trasmesso e ampiamente condiviso (più di 14 milioni di visualizzazioni) sui social network (David Perrotin giornalista di Loopsidernews ha diffuso in rete le prime immagini del pestaggio) da giovedì, ha attivato una ondata enorme di sdegno che è giunta fino ai vertici dello stato, passando anche attraverso grandi nomi dello sport, come i calciatori Antoine Griezmann e Kylian Mbappé, e della musica, come i cantanti Benjamin Biolay e Aya Nakamura (qui anche un video diffuso successivamente filmato da un uomo da una finestra e che mostra come la brutale aggressione sia proseguita anche fuori dai locali).
La notizia del pestaggio si è diffusa pochi giorni dopo il brutale smantellamento, avvenuto fra il 23 e 24 novembre, di un campo di migranti nel centro di Parigi. Diverse centinaia di migranti avevano montato le loro tende con l’aiuto di associazioni umanitarie in Place de la République. La maggior parte di questi migranti, per lo più cittadini afghani, faceva parte del campo già sgomberato a Saint-Denis il 17 novembre. L’obiettivo dell’azione era quello di “dare visibilità a coloro che si tenta di ignorare”, secondo quanto affermato da Médecins du Monde. Diverse decine di agenti di polizia sono arrivati rapidamente sul posto, su richiesta del ministro degli Interni, per sgomberare l’occupazione illegale. L’evento è stato caratterizzato dalla brutalità e dalla violenza della polizia contro migranti e giornalisti. Le immagini, riprese da giornalisti e attivisti e trasmesse sui social network, hanno scioccato l’opinione pubblica e hanno portato all’apertura di un fascicolo presso l’Ispettorato generale della Polizia nazionale (IGPN), che ha denunciato “l’uso sproporzionato della forza” da parte di un poliziotto che ha fatto volutamente uno sgambetto ad un migrante, caduto poi a terra.
Questi casi rientrano nel dibattito in corso nel paese contro la cosiddetta “Loi sécurité globale”, una proposta di legge attualmente in discussione che impedirebbe di riprendere i poliziotti in servizio. Il tanto contestato articolo 24 della proposta di legge, sostenuto dai sindacati di polizia e dall’estrema destra, punisce, con un anno di carcere e una multa di 45.000 euro, la diffusione di “immagini facciali o qualsiasi altro elemento di identificazione” dei membri delle forze di polizia durante un intervento, quando ciò “nuoce” alla loro “integrità fisica o psicologica”. La sinistra e i difensori delle libertà civili vedono in questo un “attacco sproporzionato” alla libertà di informazione e il segno di una deriva autoritaria della presidenza di Macron.
Contro questa norma, e unendo la rabbia per le continue violenze razziste di polizia, sabato 28 novembre migliaia di persone sono scese in piazza in tutto il Paese, soprattutto a Parigi. 130 mila i manifestanti, secondo le fonti del Ministero degli Interni francese, più di 500 mila secondo gli organizzatori.
In realtà, il dibattito si è poi allargato anche alla reclamata riforma dell’Ispettorato generale della Polizia nazionale (IGPN), noto anche come la “police des police”. Questa amministrazione, responsabile delle indagini sugli abusi e sulle violenze della polizia, viene regolarmente accusata di poca trasparenza e di parzialità, come dimostra anche un’indagine di Mediapart, che ha analizzato 65 fascicoli IGPN. L’unico modo per limitare i sospetti sull’IGPN sarebbe quello scinderlo dalle forza di polizia stesse e affidarlo alla società civile. Eppure la Francia rimane cauta in materia, anche se questa opzione è stata scelta da molti dei nostri vicini europei. In Gran Bretagna, ad esempio, l’organo di controllo impiega solo funzionari non di polizia. In Danimarca, il consiglio di amministrazione dell’IPCA, un’autorità collegata al Ministero della Giustizia, comprende magistrati e due persone della società civile. Ma oltre a questo, immagini come quelle dell’aggressione di Michel Zecler da parte di agenti di polizia, sollevano immediatamente anche altri interrogativi sulla formazione, il reclutamento, la gestione, l’indottrinamento e l’addestramento degli agenti di polizia nella società francese di oggi. Nel libro Flic (ed. Goutte d’or, 2020), il giornalista Valentin Gendrot (noi ne avevamo parlato qui), che si è infiltrato nelle forze di polizia per due anni dopo essere stato addestrato come assistente alla sicurezza, è molto critico sull’argomento.
A voler tentare di tirare le somme, di fatto, non ci sono dati precisi per determinare se vi sia nelle forze dell’ordine francesi un problema diffuso di violenze dichiaratamente “razziste”. Secondo l’IGPN, nel 2019, erano in corso circa 30 indagini per atti di razzismo. Secondo il Difensore dei diritti umani, invece, tra il 2012 e il 2017, ben l’80% dei giovani neri o arabi sono stati fermati dalla polizia per dei controlli senza precisi motivi. Questo dato è molto più elevato che per il resto della popolazione (16%).
Il caso di Zecler solleva, ancora una volta, interrogativi pesanti sul razzismo “strutturale” e sulla violenza all’interno della polizia francese (e non solo, diremmo), che le autorità negano categoricamente, ma che sono testimoniati da una lunga serie di casi negli ultimi anni. Da almeno 15 anni, anche Amnesty International France mette in guardia su casi di uso illegale della forza da parte delle polizie e sulle difficoltà di accesso alla giustizia per le vittime. I maltrattamenti e le torture, le morti durante gli arresti, la repressione violenta durante le manifestazioni, i controlli discriminatori e i commenti razzisti, gli eccessi delle forze dell’ordine in Francia sono numerosi e documentabili (qui, ad esempio, l’ultimo rapporto pubblicato a giugno 2020, Police et pandemie, nel quale vi è anche un paragrafo dedicato all’Italia).
Purtroppo, il fenomeno del “racial o ethnic profiling” nelle attività di polizia (così com’è stato definito dall’ECRI nel 2007, ovvero “tutte quelle pratiche di controllo, sorveglianza e indagine messe in atto dalle forze dell’ordine sulla base di pregiudizi fondati sull’etnia, la lingua, la religione, le origini o la nazionalità”) non è un fenomeno nuovo, e rimane diffuso in tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa, nonostante una maggiore consapevolezza della necessità di combatterlo, favorita da una giurisprudenza sempre crescente.
Diciamo che la violenza razzista che si è abbattuta su Michel Zecler non è una violenza isolata, tale da derubricare il fatto come l’opera di qualche “pecora nera” che disonora la polizia nazionale. Semmai è piuttosto il sintomo di una profonda cancrena. Ha riportato alla luce un problema ricorrente e con esso i suoi alleati forti: il silenzio complice dei colleghi e la negazione di troppi sindacati di polizia, della gerarchia di polizia, del Ministero dell’Interno e più in generale delle autorità pubbliche. Il tutto remando contro quanto l’Unione Europea sembrerebbe chiedere: dalle misure contenute nel Piano di azione dell’Unione Europea contro il razzismo (noi ne abbiamo parlato qui) alle linee guida del CERD uscite pochi giorni fa (ne abbiamo parlato qui).
Oggi, è urgente che le autorità francesi reagiscano. E non solo loro.