Si è aperto ieri Sabir, Festival diffuso delle culture mediterranee a Lampedusa. Sabir, la lingua parlata nei porti del Mediterraneo dal Medioevo fino a tutto il XIX secolo, che consentiva ai marinai e ai mercanti di comunicare tra loro in un territorio di passaggio, di scambio e di contatto. Come è sempre stata l’isola di Lampedusa, che ancora oggi resta un luogo di incontro. I nuovi arrivati, però, non sono più i mercanti, bensì i migranti che, affrontando viaggi costosi, estenuanti e pericolosi, raggiungono le coste isolane per poi provare a continuare il proprio viaggio. Quando ci riescono: il 3 ottobre 2013 trecentosessantotto (368) persone hanno perso la vita a poche miglia dall’isola, a causa dell’incendio e del conseguente affondamento della barca su cui viaggiavano.
Sabir vuole ricordare anche loro, in una giornata della memoria ancora non ufficiale, visto che, nonostante le migliaia di firme raccolte dal Comitato 3 ottobre, il Parlamento italiano non ha istituito per legge, in questa tragica ricorrenza, la Giornata della memoria e dell’accoglienza.
Ricordare è importante, e rendere collettivo questo processo altrettanto: la memoria può contribuire a evitare che si ripetano le stesse situazioni – in questo caso una strage che sembrava aver segnato l’opinione pubblica, la società civile, i protagonisti politici. Almeno, così dovrebbe essere: ma il 3 ottobre 2013 non è mai finito. Il 14 settembre scorso sono morte almeno 224 persone al largo di Tajoura (Libia). Il giorno prima, i corpi recuperati nelle acque libiche sono 45. Sempre il 13 settembre, si contano 300 dispersi nel naufragio di un’imbarcazione al largo di Malta. E ancora, sono 15 i morti davanti alle coste egiziane. Il 10 settembre sono 500 i dispersi al largo di Malta. Il 24 agosto, 20 corpi vengono recuperati a 50 km a est di Tripoli, 170 i dispersi. Lo stesso giorno, su un gommone alla deriva a 120 miglia a sud di Lampedusa vengono ritrovati i corpi senza vita di 18 persone, e altre 10 risultano disperse.
Ci fermiamo qui, ricordando che nel suo ultimo rapporto, ‘Vite alla deriva‘, Amnesty International ha denunciato che da gennaio 2014 a oggi sono state 2500 le persone che, dopo essere partite dall’Africa del Nord, sono annegate o disperse nel Mediterraneo.
L’unico intervento messo in campo dalla politica è stato Mare Nostrum: un’operazione coordinata a livello nazionale, e non europeo, che è riuscita a salvare 90mila persone (come riportato dal ministro dell’Interno Alfano), ma che è ben lontana dal rappresentare una soluzione. E’ infatti l’assenza di mezzi legali e sicuri per raggiungere il paese di destinazione a mettere queste persone in situazioni di estremo pericolo: persone che, va ricordato, fuggono da guerre, conflitti e persecuzioni. La politica non può più ignorare l’attuale scenario internazionale, che l’Unhcr ha recentemente descritto come “un’emergenza umanitaria senza precedenti”. Il mondo è in guerra, e le persone fuggono in cerca di una vita migliore. Le misure messe in campo dall’Europa rappresentano, semplicemente, una non-risposta: il potenziamento di Frontex, denominato poi Frontex plus e ora Triton, è l’unico provvedimento sollecitato all’unisono dai rappresentanti politici dei paesi membri dell’Unione Europea, nell’ottica, ribadita dal nuovo presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, di “proteggere i confini europei”.
“L’assenza di politiche giuste ed efficaci per l’immigrazione e più in particolare la mancanza di un’idea di accoglienza adeguata agli standard dei diritti umani sanciti a livello internazionale, provoca di frequente tragedie e problemi umanitari e crea tensioni e conflitti politici e sociali. Al tempo stesso, la gestione improvvisata e perennemente emergenziale degli arrivi alimenta il razzismo e le paure costruite strumentalmente negli ultimi anni con la retorica pubblica dell’invasione”, scrivono i promotori di Sabir.
Il festival si pone in antitesi a queste dinamiche, proponendo “una nuova concezione di uguaglianza Mediterranea e dignità condivisa”. A Sabir si riveleranno le contaminazioni, le somiglianze e le specificità dei diversi paesi bagnati dal ‘mare di mezzo’. Si discuterà delle sfide comuni e dei progetti da affrontare insieme, nell’importante costruzione di un nuovo protagonismo della società civile. Il tutto partendo dalla valorizzazione del “potenziale sociale, economico e culturale” della regione Mediterranea, e dal “rafforzamento del tradizionale ruolo di ponte” dell’isola di Lampedusa.
Un primo passo verso la definizione di “un’Europa policentrica e pluri-culturale”, uno spazio più aperto e solidale in cui sviluppare una nuova “cittadinanza mediterranea”.