Sono iniziate alle 9 di mattina le operazioni di sgombero del “campo di Ponte Mammolo”, un insediamento sorto spontaneamente, più di dieci anni fa, in via delle Messi D’Oro, alla periferia sud-est di Roma. La Polizia Locale di Roma, il gruppo Spe (Sicurezza pubblica emergenziale) e IV Gruppo Tiburtino hanno condotto le operazioni di smantellamento. Le ruspe hanno distrutto le baracche in muratura, legno, cartongesso e lamiera costruite dagli abitanti, circa 50 persone, in prevalenza eritrei, a cui si aggiungono almeno altri trecentocinquanta migranti cosiddetti “transitanti”: ossia persone che da Roma passano per continuare il proprio viaggio verso altre destinazioni, principalmente il Nord Europa.
All’arrivo delle forze dell’ordine si sono verificati momenti di tensione, tra le proteste degli abitanti che hanno provato a sbarrare la strada, non volendo lasciare il campo senza avere alcuna rassicurazione, e le cariche della polizia. Un “cittadino nord africano che ha opposto resistenza” è stato sottoposto a fermo, informa una nota degli stessi vigili urbani. Le persone sono state allontanate senza dare loro nemmeno il tempo di prendere le proprie cose, documenti compresi, poi fortunatamente recuperati: gli abitanti “stanziali” del campo sono infatti per la stragrande maggioranza titolari di regolare permesso di soggiorno per protezione internazionale. Per legge spetterebbe dunque loro assistenza da parte delle istituzioni: al contrario, da anni si vedono privati persino dei diritti più basilari.
“La tensione è stata generata dalla mancata volontà di trovare una mediazione con queste persone che, dopo essere state abbandonate qua per dieci anni, questa mattina dovevano per forza essere sloggiate senza sapere nulla del loro destino”: ad affermarlo è un operatore di Medici per i diritti umani, associazione accorsa per dare sostegno e cure agli abitanti sotto sgombero. Sono infatti dieci anni che queste persone, in fuga dal proprio paese, vivono in condizioni indegne, all’interno di quella che è una vera e proprio baraccopoli alla periferia di Roma. Dieci anni senza che nessuno, tra le varie amministrazioni succedutesi, sia mai intervenuto per dare nulla: assistenza, servizi, un’alternativa alle baracche. Una situazione che persiste ancora oggi: i delegati dell’assessorato alle Politiche Sociali presenti durante lo sgombero non hanno fornito alcuna soluzione alternativa agli abitanti che ora si trovano privi di un tetto, con le cose di una vita chiuse in sacchi di plastica, senza sapere dove andare. L’unica ipotesi messa sul piatto sarebbe il centro di accoglienza Baobab, accanto a via Tiburtina: un’ennesima soluzione temporanea. “Sono anni che associazioni per i diritti umani e non solo chiedono la chiusura di questo insediamento – spiega un’operatrice di Be Free presente sul posto – ma quello che serviva è un percorso concertato di emersione, che garantisse a queste persone che stanno qui da anni diritti. Quello che è successo stamattina invece è solo uno sgombero brutale e immotivato nella sue repentinità. Ora alle persone sgomberate non è nemmeno permesso di andare a recuperare le proprie cose”. E proprio la totale assenza di attenzione e dialogo viene denunciata dall’associazione Prime Italia, da tre anni impegnata per dare supporto alla drammatica realtà del “campo”. “Questo sgombero è stato deciso in modo unilaterale, senza alcun preavviso”, scrive l’associazione, che sottolinea come il proprio obiettivo fosse “quello di arrivare a rendere inutile la presenza del campo, ma facendolo in maniera corretta, partecipata e graduale”, anche considerando “che gli abitanti sono persone traumatizzate e in alcuni casi vittime di tortura”.
Tutto questo non è avvenuto: gli abitanti, abbandonati per anni, si trovano ora spogliati anche dell’unica certezza che avevano, ossia quella di una baraccopoli. “Nessuno ci ha avvisati di quanto sarebbe successo – ci spiega il presidente di Prime Italia Guglielmo Micucci – le ruspe sono entrate in azione provocando tra l’altro il repentino allontanamento di tutti i transitanti. Quella messa in atto dalle forze dell’ordine sembra un’azione strategica per disperdere i migranti e riportare a un numero più gestibile le persone presenti nell’ex insediamento”, sottolinea Micucci, lamentando una totale assenza istituzionale: “Chiediamo all’assessore alle politiche sociali di Roma Capitale, Francesca Danese, e all’Assessore alle politiche sociali del IV Municipio, Maria Muto, le ragioni di tale improvvisa accelerazione e della totale mancanza di consultazione con la società civile che per anni, in assenza assoluta delle istituzioni, si è occupata della vita di queste persone”.