A Roma da pochi giorni c’è quella che i giornali hanno definito “una tendopoli”. Ma si deve sapere dov’è, per arrivarci. E’ infatti lontana dalle zone di passaggio delle persone che attraversano la stazione Tiburtina e dalla strada percorsa quotidianamente da centinaia di auto. Ci si deve inoltrare in una via dove ci sono solo parcheggi, dietro alla nuova ed enorme struttura che corrisponde alla stazione e ai suoi tanti spazi – molti dei quali vuoti. Solo dopo una curva in discesa si arriva alla “tendopoli”: uno spazio recintato presidiato da militari e carabinieri. Dentro, una decina di grandi tende. Un gruppo di ragazzi sta giocando a pallone: sono eritrei, come tutte le 150 persone presenti, tra i quali molti minori. Appena si entra c’è un gazebo della Croce Rossa, dove una volontaria dell’associazione spiega: “Questi sono tutti materiali nostri, le tende, le strutture.. il comune non ci ha dato fondi. Il prefetto ci ha indicato la zona, l’amministrazione ci ha dato l’endorsement (il sostegno). Il resto lo facciamo noi e le tante persone che stanno dando una mano, portando cibo, vestiti, ma anche aiuti medici. No non è possibile fare foto né entrare, mi dispiace”. E mentre parla arrivano due auto cariche di generi alimentari e di abiti.
Anche al centro Baobab, in via Cupa, la situazione è la stessa: un viavai di gente che porta aiuti si confonde tra le persone – in prevalenza eritree, molte donne e bambini piccoli– presenti nella struttura. In cui, questa volta, si può entrare liberamente, volendo scattando anche fotografie che mostrerebbero persone – circa 300 – sedute per terra, sdraiate su materassi di fortuna… insomma stipate in questo edificio che sembrerebbe apparentemente autogestito. In realtà il sistema di gestione attuale di questo spazio, che ha ospitato fino ad alcuni mesi fa un centro di accoglienza e un centro socio-culturale, non è chiaro. Dal centro Baobab sono passate, gli scorsi anni, tante persone prima residenti nella baraccopoli di Ponte Mammolo, sgomberata recentemente (qui info). E che dopo lo sgombero lì si sono rifiutate di tornare, lamentando una cattiva gestione della struttura – peraltro implicata nell’inchiesta Mafia Capitale. La stessa confusione che regna sull’amministrazione dell’edificio riguarda anche la proprietà: chi dice che è del Comune, chi che è privata. Dalla giunta non arriva alcuna comunicazione ufficiale e definitiva a riguardo. L’unica cosa che viene sottolineata è che “il Comune ha dato un tetto a queste persone, e molti cittadini e cittadine stanno dimostrando una straordinaria solidarietà umana”. E’ vero: la risposta della città è straordinaria.
Segno che forse i toni della politica, che spesso dipingono il migrante come un nemico arrivato per rubarci tutto, non sono condivisi da tutti. E che, se i mass media forniscono un’immagine diversa, ecco che la solidarietà umana emerge.
In effetti, in questi giorni sui giornali si parla di “profughi, disperati, rifugiati” o di “un’invasione di clandestini”, come siamo stati abituati finora. “Disperati” per cui l’Unione Europea non fa nulla e contro i quali alcuni paesi, Francia in primis, chiudono addirittura le frontiere, con un comportamento definito da più parti “egoista” e lontano dai valori democratici.
L’Italia invece, e il Comune di Roma in questo momento specifico, cosa stanno facendo? E’ una domanda obbligatoria: perché è vero che a Roma ora ci sono una tendopoli e un centro che forniscono un tetto, ma è anche vero che questa risposta, ancora una volta di tipo emergenziale, non può avere durata illimitata. E che si basa in gran parte sulla solidarietà delle persone che hanno organizzato punti e comitati di raccolta: non su una gestione strutturata e ordinaria a livello municipale. “Stiamo dando questa prima risposta in attesa che si sblocchi la situazione in Europa”, è il leit motiv che ripetono i rappresentanti istituzionali e i membri della Croce Rossa. Ma la situazione non sembra avere una soluzione rapida: martedì l’incontro tra i ministri dell’interno degli stati membri dell’Unione europea sulla distribuzione dei migranti è finito con un nulla di fatto, e con due uniche certezze: i rimpatri verranno aumentati, e il regolamento Dublino non si tocca ( per info vedi qui). E’ questo regolamento che obbliga le persone a rimanere nel paese dove hanno inoltrato domanda di protezione, senza possibilità di spostarsi in uno stato dove ci può essere una migliore gestione dell’accoglienza, o dove magari ci sono parenti o amici, o dove c’è una lingua conosciuta, o un mercato del lavoro meno chiuso. Insomma è quel regolamento che impedisce a migliaia di persone di autodeterminare la propria vita, rimanendo in questo caso in un paese – l’Italia – il cui sistema di accoglienza è inadeguato, come evidenziato anche dalla Corte suprema inglese e dal Commissario europeo per i diritti umani.
Il sostegno dato a un’associazione per posizionare dieci tende e l’individuazione di una struttura – la cui gestione va chiarita – non hanno niente a che vedere con un sistema di accoglienza: sono misure emergenziali trovate in fretta e furia per evitare tensioni e problemi maggiori, anche di immagine e ordine pubblico. Sono provvedimenti adottati dopo il brutale sgombero (qua un video) avvenuto domenica scorsa a stazione Tiburtina, quando le persone sono state rincorse e caricate sui pullman per essere portate a via Cupa. Dinamiche violente che, peraltro, potevano essere evitate in modo molto semplice, arrivando con alcuni mediatori piuttosto che con le camionette, spiegando la situazione senza suscitare paura in persone che, va ricordato, scappano da guerre e dittature.
Dopo lo sgombero della stazione, il centro di via Cupa contava 800 persone, su una capienza di circa 200. Ora i numeri sono scesi, tanti sono andati nella tendopoli, ma il conto non torna. Forse alcuni sono riusciti a prendere un treno e a cambiare città, o anche paese. Di fatto a proprio rischio e pericolo, perché il regolamento Dublino è ancora in vigore, le quote di distribuzione annunciate in realtà non sono ancora praticabili, e dunque la possibilità di essere fermati, e rispediti indietro o arrestati, c’è. Come ci insegna quanto successo a Ventimiglia (per info qui). E la situazione non andrà migliorando: come abbiamo visto negli anni, le persone continueranno a arrivare in Italia per poi provare a raggiungere altri paesi.
Come si pensa di governare la questione ormai lampante dei cosiddetti “transitanti”? Il prefetto ha dichiarato che la tendopoli resterà per un mese e poi le persone saranno trasferite in un dopolavoro ferroviario che ora necessita di lavori. La capienza di questo spazio è di circa 150 posti. E tutte le altre persone? Non solo quelle già presenti a via Cupa, ma tutte quelle che continueranno ad arrivare, considerando lo scenario internazionale costellato di guerre, dittature, mancanza di lavoro e di diritti? E ancora, tutte quelle già presenti nelle tante strutture abbandonate e totalmente autogestite? L’ambasciata somala è ormai stata chiusa (per info qui), ma le cronache ci danno conto da tempo di molti “non-luoghi” in cui le persone vivono da anni una quotidianità indegna a causa dell’abbandono istituzionale. Solo l’anno scorso sulle pagine dei quotidiani si parlava di Selam Palace, un altro “non-luogo”, dove solo le associazioni e alcuni singoli cittadini provano a dare una mano (per info qui). E un mese fa si parlava della baraccopoli di Ponte Mammolo, dove da più di dieci anni trovavano rifugio persone invisibili alle istituzioni, intervenute solo per sgomberare senza fornire alcuna soluzione alternativa dignitosa. Uno sgombero brutale e illegale che ha dato vita a un’altra emergenza: perché questi luoghi sono zone-cuscinetto, lontane dallo sguardo dei cittadini, dove molte persone arrivano per poi ripartire pochi giorni dopo. Sono luoghi che nemmeno dovrebbero esistere e suppliscono alle enormi lacune del nostro sistema di accoglienza.
Di fronte a questa situazione, le domande sono molte. Il comune prenderà una posizione chiara ed esplicita sugli interventi che intende adottare per far fronte a situazioni come queste? E il Governo, in assenza di un accordo con gli altri paesi europei, intende ancora “risolvere” la questione optando per la rinuncia all’identificazione delle persone, nella speranza che lascino le nostre città il prima possibile?
I nodi da sciogliere sono molti ma le risposte concrete continuano a mancare. Di fronte a questo quadro, l’unico punto positivo è la solidarietà della popolazione. Che però non può essere eterna: quando i riflettori, dopo Selam Palace, dopo lo sgombero di Ponte Mammolo, si spegneranno anche su via Cupa, cosa resterà?
Serena Chiodo