“Campo nomadi Tor De’ Cenci chiuso, impegno mantenuto. Grazie Alemanno e Belviso”: recitano così i manifesti e i volantini comparsi in questi giorni a Roma, a firma PdL, criticati ieri dal Ministro per la cooperazione e l’integrazione Riccardi al termine di un evento organizzato all’Ara Pacis in ricordo di Raoul Wallenberg. Nel corso del suo intervento alla cerimonia in memoria del diplomatico ungherese, celebrato per aver salvato migliaia di ebrei dallo sterminio nazista – alla quale il sindaco di Roma non ha partecipato – il ministro ha affermato: “La predicazione dell’odio è sempre un rischio, che si acuisce nei momenti di crisi economica, perché in questi casi può diventare persino rassicurante trovare dei nemici ai quali attribuire tutte le responsabilità. Manifestazioni di intolleranza razziale e un preoccupante antigitanismo sono diffusi purtroppo anche nella nostra città di Roma”. E a proposito di questi “manifesti, volantini e lettere che inneggiano e si compiacciono per gli sgomberi dei campi abitati da minoranze etniche rom, compresi donne e bambini inermi”, Riccardi ha dichiarato: “C’è bisogno di responsabilità e non di trionfalismi, certe delicate questioni non possono essere trattate con i toni da campagna elettorale”. Il sindaco Alemanno ha replicato a mezzo stampa negando la paternità dei manifesti: “Non sono certo fatti da me ma nati spontaneamente da comitati di cittadini che ringraziano l’Amministrazione per la chiusura del campo di Tor de’ Cenci. Negli stessi – ha aggiunto – non c’è nessun incitamento all’odio o all’intolleranza razziale”. C’è però un “piccolo” dettaglio: sui manifesti compare il logo del PDL. E allora il dubbio che il manifesto in questione apra simbolicamente la campagna elettorale che interesserà il Comune capitolino e la Regione, è più che fondato.
Sembra di essere tornati a Milano durante la campagna elettorale del maggio 2011, quando la Lega Nord aveva tappezzato i muri della città con manifesti in cui si accusava l’attuale sindaco Pisapia di voler consegnare il capoluogo lombardo nelle mani di rom e fedeli musulmani. I manifesti, e i discorsi politici, richiamavano costantemente il termine “Zingaropoli”, neologismo usato da PdL e Lega Nord a scopo fortemente offensivo e discriminatorio, come sentenziato dal Tribunale di Milano a seguito di un ricorso civile presentato dall’associazione Naga di Milano il 25 maggio 2011.
La sentenza non sembra aver scoraggiato la ripetizione di cose già viste. L’uso strumentale dei discorsi di odio nel dibattito pubblico ritorna sistematicamente ogni qual volta le elezioni si avvicinano. Uso che va monitorato, denunciato ma va anche contrastato con la promozione di azioni di tutela legale. Misure sollecitate al Comitato per l’Eliminazione della Discriminazione Razziale delle Nazioni Unite (CERD) da parte di otto associazioni italiane (Archivio delle Memorie Migranti, Articolo 3 – Osservatorio sulle discriminazioni, Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione, Associazione 21 Luglio, Associazione Carta di Roma, Borderline Sicilia Onlus, Lunaria, Unione forense per la tutela dei diritti umani), che, in occasione di una sessione dedicata all’incitamento all’odio “razziale” svoltasi a Ginevra lo scorso 28 agosto, hanno consegnato un rapporto in cui viene delineato il quadro della situazione italiana: una condizione preoccupante, in cui incitazioni all’odio “razziale” nei confronti di immigrati, richiedenti asilo, rifugiati e rom appaiono sempre più presenti ed esplicite nel discorso pubblico politico e mediatico, senza che a questo seguano provvedimenti giudiziari, eccetto qualche raro caso (quale appunto la sentenza emessa lo scorso luglio dal Tribunale di Milano sul caso “Zingaropoli”).