In questi giorni, nei quali tutta l’attenzione mediatica è concentrata sull’evoluzione del Covid-19 in Italia e nel mondo intero, si abbassa quella rivolta ai fenomeni del razzismo e della discriminazione, che però permangono. Nascosti, ma persistono nel quotidiano.
Abbiamo vissuto alcuni momenti nei quali, al contrario, tutti i media erano puntati sulle numerose forme di razzismo al punto da gridare all’allarme e all’emergenza. Oggi, l’emergenza è diversa e distoglie lo sguardo da accadimenti anche gravi.
Questa mattina ci siamo imbattuti in un breve articolo, pubblicato sul sito di riforma.it, l’organo di informazione delle chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi in Italia, nel quale si racconta di un’aggressione razzista avvenuta domenica 8 marzo ai danni di un giovane cittadino nigeriano. Non vi è traccia di altri articoli che raccontino il caso.
Samuel è un assiduo frequentatore della Chiesa Battista di Trastevere, presso la quale ha ricevuto anche il battesimo, ed è conosciuto molto bene da questa comunità religiosa. E’ un migrante che ha transitato dal centro Baobab, ai tempi degli sgomberi del 2016 messi in atto dalla sindaca Virginia Raggi, e da allora, ha sempre collaborato con la Chiesa Battista fino al giorno in cui è stato condotto in carcere. Accusato di essere stato uno scafista, suo malgrado, ha scontato una pena di due anni a Cassino. Passo dopo passo, fatica dopo fatica, sofferenza dopo sofferenza, Samuel è uscito anche dal carcere, lasciandosi alle spalle questa esperienza. Sempre seguito dalla Chiesa Battista, si è “riscattato”, ha trovato una casa in affitto, un lavoro, degli amici. La sua vita sembrava incanalarsi nel verso giusto, fino a qualche giorno fa.
Il racconto dei fatti è molto dettagliato e spiega anche la dinamica subdola della quale Samuel è stato vittima.
Domenica sera, il giovane passeggiava in compagnia di alcune amiche della comunità religiosa in una strada nei pressi della sua abitazione, non lontano dal ristorante in cui lavora, nella zona della stazione Termini.
Due persone sconosciute, l’hanno visto ed hanno cominciato ad insultarlo in mezzo alla strada: “Scimmia che fai?”, gli hanno gridato. Samuel ha reagito rispondendo alle offese razziste ricevute, mentre le sue amiche provavano, accelerando il passo, ad allontanarlo, evitando la colluttazione fisica, probabilmente imminente.
Più tardi, Samuel è tornato in zona Termini per andare a lavorare. Al termine del turno di lavoro, ha notato che fuori, ad aspettarlo, c’erano proprio gli stessi “personaggi” che lo avevano aggredito verbalmente poche ore prima. Dunque ha chiesto ad un collega di fare la strada insieme, pensando ingenuamente che, forse, in due, non li avrebbero attaccati.
E invece.
Non appena hanno cominciato a camminare, gli aggressori l’hanno nuovamente insultato e poi sono passati alla violenza fisica. Samuel è stato preso a pugni sul volto e poi colpito con una bottiglia di vetro. La forza e la violenza dei colpi ha fatto rompere la bottiglia e il vetro lo ha ferito ad una mano.
Fortunatamente, il passaggio di un carabiniere ha evitato il peggio. Gli aggressori sono stati fermati e arrestati, mentre Samuel veniva condotto in ospedale.
E ‘scattata immediatamente la denuncia, corroborata anche dalle deposizioni di una delle ragazze che erano con lui durante la prima aggressione e dei suoi colleghi di lavoro.
Secondo quanto riportato dalle testimonianze, uno degli aggressori mentre veniva arrestato avrebbe gridato di appartenere alla famiglia dei Casamonica e che avrebbero pagato caro quanto stavano facendo.
Chissà quante altre situazioni simili sono taciute o passate in secondo piano perché schiacciate dall’emergenza dell’iper-produzione di notizie sul coronavirus. Il Pastore della Chiesta Battista di Trastevere chiede una profonda riflessione su quanto accaduto affinché anche il virus del razzismo venga debellato dalle nostre vite.
E’ una doppia battaglia doverosa, sebbene ci troviamo in tempi molto difficili.