Paura, guerra tra poveri, immigrati, crisi. E ancora abbandono delle istituzioni, violenza, razzismo. Sono alcune delle parole che in questi giorni rimbalzano tra siti web e quotidiani, nel tentativo di ricostruire quanto sta succedendo nelle periferie di Roma, e nella ricerca, compiuta da alcuni, di fornire un’analisi che vada al di là della mera cronaca dei fatti.
A Corcolle, periferia est di Roma, fuori dal Raccordo Anulare, sabato scorso circa quaranta cittadini stranieri hanno bloccato un autobus dell’agenzia di trasporti municipale Atac, e l’hanno danneggiato lanciando sassi, pugni, bottiglie. Un vetro è andato in frantumi, l’autista, una donna di trentatre anni, non ha fortunatamente riportato lesioni, ma si è impaurita molto.
Il giorno dopo nello stesso quartiere è andata in scena un’altra aggressione, ancora a opera di un gruppo di migranti, contro un altro bus Atac guidato da un’altra giovane donna. Le conseguenze sono state diverse. Un nutrito gruppo di residenti ha inscenato una protesta, bloccando la via Polense. Alcuni immigrati sono stati aggrediti, uno è finito in ospedale. Gli abitanti del quartiere stanno organizzando delle ronde e chiedono il trasferimento dei migranti presenti nell’edificio di via Novafeltria, da poco tempo adibito a Cara (Centro accoglienza richiedenti asilo). La questura sembra voler accogliere la proposta. Il municipio si dice sensibile al tema dell’inclusione sociale, ma sottolinea la necessità di una migliore gestione dell’accoglienza e di una distribuzione diversa dei richiedenti asilo nel territorio capitolino.
Gli autisti Atac chiedono garanzie di sicurezza. I migranti non escono più dal Cara per paura di ritorsioni, e lamentano che spesso sono costretti ad aspettare gli autobus per ore perché spesso gli autisti non si fermerebbero, impedendo loro l’accesso.
Anche il quartiere di Torpignattara si trova nella periferia est di Roma, ma molto più vicino al centro cittadino rispetto a Corcolle. Per intenderci, venti minuti, con i mezzi pubblici, dalla stazione Termini. Una forte presenza di cittadini stranieri, per lo più di origine bengalese e pakistana, caratterizza il quartiere. Giovedì notte, un 28enne pakistano è morto, ucciso dai colpi di un ragazzo italiano di diciassette anni. La vittima si chiamava Muhammad Shahzad Khan, “aveva 28 anni, una moglie e un bambino di tre mesi in Pakistan. Aveva perso il lavoro e questo l’aveva turbato. Era un po’ scosso, cantava le sure del Corano, ma non dava fastidio a nessuno”, dichiara all’agenzia stampa Redattore Sociale Ejaz Ahmad, mediatore culturale e giornalista pakistano in Italia dall’89, caporedattore del giornale in lingua urdu per pakistani in Italia Azad. “Muhammad Shahzad Khan non era ubriaco e non era un senzatetto come scritto dai giornali in questi giorni. Aveva un figlio di tre mesi che non aveva mai visto. Moglie e figlio erano in Pakistan. Lui era qui per lavorare. Aveva i documenti in regola e non era un senzatetto, come hanno scritto. In questo periodo viveva in una casa di accoglienza, nei pressi del quartiere. Vendeva qualcosa per strada per sopravvivere. Era turbato per la sua condizione economica [..] Era un po’ disturbato, questo è vero, ma non dava fastidio a nessuno. Cantava per strada le sure del Corano e in italiano diceva ‘io sono musulmano, sono pakistano’. Per strada non dormiva, questo è sicuro, me l’hanno detto tutti i negozianti della zona. Girava per queste strade perché qui è una ‘Little India’, ma anche se fosse vero che dormiva per strada, non puoi uccidere una persona a pugni. C’è un po’ di odio razziale che sta aumentando in questa zona”.
Il ragazzo italiano di 17 anni arrestato, risiede nella zona, e ha ammesso di aver colpito Shahzad.
Anche in questo caso le conseguenze sono state diverse. Un gruppo di amici e conoscenti del minorenne ha manifestato in solidarietà del ragazzo, parlando di “disgrazia”. Alcune associazioni e singoli attivi sul tema dei diritti, dell’antirazzismo, dell’attivismo della società civile, hanno organizzato una manifestazione, Mamma Torpigna, per abbracciare idealmente il quartiere e i suoi abitanti, evitando di trovare nello “straniero” il capro espiatorio dei problemi del territorio. Altri residenti, invece, hanno iniziato a parlare della necessità di tutelarsi contro “quelli”, “gli stranieri”. Per domenica prossima la comunità pakistana ha organizzato una manifestazione.
Di cose da dire ce ne sarebbero moltissime. Ogni soggetto è portatore di istanze diverse, e far emergere l’uno o l’altro punto di vista è una scelta che è già stata fatta, in questi giorni: alcuni media hanno posto l’accento sulla “violenza degli immigrati”, altri sul razzismo degli italiani, altri ancora su un – ennesimo – “allarme sicurezza” nella città.
Al di là della cronaca dei fatti, che in questi giorni continua a riempirsi di utili dettagli, dichiarazioni di politici e prese di posizione mediatiche, la visione d’insieme fa emergere dei tratti comuni.
Prima di tutto pesa l’assenza delle istituzioni e la totale mancanza di relazioni tra queste e le periferie. I residenti di Corcolle, quando sono scesi in strada a manifestare, hanno detto di “non farcela più” e di voler solo “vivere tranquilli”. Gli operatori del Cara hanno spiegato che molti richiedenti asilo si erano già lamentati della totale mancanza, per loro, del servizio di trasporto pubblico.
La manifestazione delle associazioni e dei residenti di Torpignattara era già stata fissata, prima ancora del brutale omicidio del giovane 28enne. Così come nei giorni prima alcuni residenti avevano manifestato contro lo spaccio e la criminalità nel quartiere.
I comportamenti dei soggetti protagonisti di questi due episodi sembrano – e sono – reazioni di esasperazione. Hanno naturalmente delle specificità, ma il filo conduttore è la mancanza di risposte a istanze che gli abitanti dei territori hanno portato alla luce da tempo. Perché l’amministrazione comunale non ha sentito, almeno di fronte a questi due gravissimi episodi, l’urgente bisogno di andare nei due quartieri?
In questa situazione, è facile che prendano piede, e spazio, discorsi populisti e razzisti. L’abbandono delle periferie, l’incuria e la diffidenza prendono il posto di una sana e partecipata socialità. La criminalità ha gioco facile. E’ una spirale che è già in movimento: per fermarla la presenza delle istituzioni è fondamentale. Il rischio, dietro l’angolo, è che una questione sociale venga derubricata a un problema di sicurezza; che invece dei responsabili vengano identificati dei capri espiatori, e che al posto di costruire risposte sociali si diano, al massimo, soluzioni tampone di stampo sicuritario. Una mancanza di presa in carico che, alla lunga, può rischiare di far apparire “normale” episodi di violenza come questi.
Per evitare che questo pericoloso processo di “normalizzazione” della violenza prenda piede, e per ricordare la vittima, i comitati di quartiere e le associazioni stanno organizzando una manifestazione prevista per domenica sera alle 18. Un corteo partirà da via della Maranella per arrivare in via Lodovico Pavoni, dove si è consumato l’omicidio. “Faremo una manifestazione per ricordare la morte si Shahzad e la convivenza a rischio”, spiega Ahmad.
Oggi invece, venerdì 26 settembre, alle 18:30 verrà tenuta, nella parrocchia di San Barnaba, una veglia di preghiera organizzata insieme alla Comunità di Sant’Egidio. Nel frattempo a Roma è arrivato lo zio della vittima.