Si è celebrata ieri, 8 aprile, la Giornata Internazionale dei rom e dei sinti. In questa occasione, l’Associazione 21 luglio ha presentato il “Rapporto Annuale 2014”. Un dossier importante: nei dibattiti politici e sui mass media si parla spesso della ‘questione rom’, portando alla luce problemi e nodi irrisolti. I toni usati sono, spesso, urlati, e le discussioni intrise di stereotipi. Il dossier fornisce invece dei dati, rimandando dunque al lettore non i pregiudizi di cui la società è già intrisa, ma una fotografia della realtà. Da cui partire per capire.
E, a proposito di dati, l’associazione informa innanzitutto sulla presenza di rom e sinti in Italia: sono 180mila, ossia lo 0,25% di tutta la popolazione presente sul territorio nazionale. Il 50% è cittadino italiano. Quattro rom su cinque vivono in abitazioni, studiano, lavorano e conducono una esistenza come quella di ogni altro cittadino residente nel nostro paese. La situazione fotografata dall’associazione appare decisamente diversa da quella che viene solitamente proposta all’opinione pubblica dal dibattito politico e mediatico, perché “più visibili, nelle cronache dei giornali e dei commenti degli esponenti politici, sono le circa 40.000 persone che vivono nei cosiddetti ‘campi’ – 1 rom su 5 sul totale dei presenti in Italia”. Sono persone che vivono in “emergenza abitativa”: un’emergenza che “il varo della Strategia Nazionale per l’Inclusione dei Rom, dei Sinti e dei Camminanti e il cambio di direzione da essa paventato” non ha risolto in alcun modo. La Strategia è rimasta infatti ferma su carta – come denunciato da anni da molte associazioni, e recentemente dalla Commissione diritti umani del Senato – mentre nella pratica “l’approccio emergenziale – che nei propositi doveva essere definitivamente abbandonato – ha rappresentato il leitmotiv di ogni azione pubblica e si è andato declinando nei dodici mesi considerati in numerose azioni di sgombero forzato e nella ideazione e progettazione di nuovi ‘campi nomadi’. Malgrado i proclami e le buone intenzioni – prosegue l’associazione – negli ultimi tre anni sono stati costruiti nuovi insediamenti a Roma, Milano, Giugliano, Carpi e in diverse città italiane del centro-sud, da Latina a Lecce, sino a Cosenza, sono in discussione avanzata progetti relativi alla costruzione di nuovi insediamenti”. La costruzione di nuovi “campi” fa parte di scelte politiche ben precise: a strategie inclusive vengono preferite misure segregazioniste, che violano i diritti umani e hanno pesanti ricadute sulla vita delle persone. Un bambino che vive in un “campo” “avrà possibilità prossime allo zero di accedere a un percorso universitario, mentre le possibilità di frequentare le scuole superiori non supereranno l’1%. In 1 caso su 5 non inizierà mai il percorso scolastico. La sua aspettativa di vita risulterà mediamente più bassa di circa 10 anni rispetto al resto della popolazione mentre da maggiorenne avrà 7 possibilità su 10 di sentirsi discriminato a causa della propria etnia”. Del resto, è forte il “nesso tra le politiche discriminatorie e segregative e un radicatoantiziganismo. Dei 443 episodi di discorsi d’odio contro i rom registrati dall’Osservatorio dell’Associazione 21 luglio, l’87% risulta riconducibile a esponenti politici”.
Il Rapporto si focalizza infine sulla situazione presente a Roma, “cartina di tornasole di ciò che accade nel Paese”. Qui, l’associazione identifica un meccanismo che definisce “il gioco dell’oca degli sgomberi”: sono stati infatti 34 gli sgomberi avvenuti nel solo 2014, che hanno spinto le comunità rom da un punto all’altro della città senza ottenere alcun risultato né cambiamento. Gli unici effetti di questo tipo di politica sono stati la persistente violazione dei diritti umani e lo sperpero del denaro pubblico.
E’, dunque, un contesto caratterizzato da forti contraddizioni quello descritto dall’associazione 21 Luglio. Una situazione che può cambiare solo con “una più diffusa e maturata consapevolezza tra gli amministratori sulla necessità di superare definitivamente i ‘campi nomadi’, e con una nuova sensibilità dell’opinione pubblica: è urgente sradicare stereotipi e pregiudizi. Perché solo da un’analisi chiara della situazione reale “potrà prendere finalmente avvio una nuova politica”.