Il Tribunale civile di Roma ha accolto il ricorso presentato dal Campidoglio contro la decisione che aveva bloccato i trasferimenti dei rom dai campi tollerati agli alloggi del campo La Barbuta.
Solo il mese scorso, l’8 agosto 2012, il tribunale si era pronunciato contro tali trasferimenti, accogliendo l’azione legale promossa dall’Associazione 21 luglio e da Asgi in riferimento appunto al campo La Barbuta, nuovo “villaggio attrezzato” di Roma, realizzato all’interno del Piano Nomadi dell’amministrazione capitolina. Il Tribunale aveva confermato il carattere discriminatorio delle attività di assegnazione degli alloggi, in quanto escludeva di fatto le comunità rom e sinte della capitale «dalla possibilità di accesso a soluzioni abitative propriamente intese con l’effetto di determinarne, ovvero incentivarne, l’isolamento e la separazione dal restante contesto urbano e di comprometterne la pari dignità sociale». Inoltre, anche il «codice comportamentale» imposto agli abitanti del nuovo «villaggio attrezzato» appariva “lesivo del diritto alla libertà personale, alla vita privata e familiare e alla libertà di riunione”. Il Tribunale di Roma aveva pertanto ordinato «la sospensione delle procedure di assegnazione degli alloggi”, dichiarando discriminatoria l’assegnazione di moduli abitativi all’interno dei campi nomadi.
Immediato il ricorso dell’amministrazione capitolina, e la reazione del vicesindaco Sveva Belviso, che ha definito la sentenza miope. Del resto, solo pochi giorni fa la stessa Belviso aveva confermato la totale opposizione all’ordine del Tribunale, dichiarando: “Case popolari ai rom? Se le possono scordare. Una soluzione alternativa ai campi nomadi non esiste”.
Ieri il ricorso del Comune è stato accolto, e dunque potrebbero riprendere i trasferimenti: la reazione del Campidoglio sembra comunque non prendere il considerazione la necessità di attendere la definitiva pronuncia del giudice, che dovrebbe arrivare a novembre a dirimere queste due decisioni discordanti.
Il sindaco Alemanno, il quale tra l’altro questa notte ha condiviso su twitter il messaggio di un suo sostenitore che lo invitava a recarsi a Torino “a cacciare qualche nomade, quando hai finito con Roma”, scrive sul suo blog: “C’era stata una sentenza incredibile, che ci aveva accusato di segregazione, di non rispettare i diritti umani. Alla fine abbiamo avuto questo risultato che rimette in moto il piano nomadi. Così si danno risposte alla criminalità, si riesce a far vivere quotidianamente i romani e si riesce anche a dare una risposta agli emarginati che non devono far pagare la loro emarginazione ai cittadini romani”.
Certo emerge un’idea di sostegno alla marginalità decisamente pericolosa, secondo la quale chi è in difficoltà non deve essere aiutato dalle amministrazioni, ma piuttosto allontanato, per il quieto vivere. Una concezione di servizio sociale che sembra essere condivisa all’interno della giunta, visto che, come fa sapere il vicesindaco, il Comune sta prendendo in considerazione l’ipotesi di “un regolamento che consentirà anche ai senzatetto di poter avere un alloggio nei campi”, dato che quest’ultimi, come La Barbuta, sono considerati “investimenti in un servizio sociale”, come spiega la Belviso. Uno strano modo di “rinunciare” alle discriminazioni: non saranno solo i rom a essere trasferiti in villaggi composti da case-container, estremamente periferici, e sottoposti a un regolamento interno, ma chiunque risulti essere in una condizione marginale e precaria. Il fatto che venga definito un “servizio sociale e abitativo” quella che invece sembra essere una non-soluzione e una segregazione, prima etnica e, se si dovesse confermare quanto detto dalla Belviso, sociale, è paradossale.
Attendiamo novembre per sapere se potremo confermare un grande passo in avanti, quello della prima ordinanza, o se dovremo osservare con sconforto la legittimazione di una situazione di marginalità, precarietà e violazione dei diritti umani.