Ieri Roma è stata macchiata da un fatto gravissimo. Tre persone sono morte; si trattava di Elizabeth, Francesca e Angelica, rispettivamente dell’età di 20, 8 e 4 anni. Due bambine e una ragazza rom, di origine bosniaca, morte carbonizzate, nell’incendio della roulotte in cui dormivano con il resto della famiglia, composta dai genitori e da altri 8 figli, nel parcheggio antistante un supermercato, in via della Primavera a Centocelle, quartiere nella periferia sud-est di Roma.
Non è stato un incidente: la polizia avrebbe ritrovato del materiale infiammabile sul luogo della tragedia, nello specifico un accendino e i resti di una bottiglia molotov.
Mercoledì la procura di Roma ha aperto un’indagine per omicidio volontario e rogo doloso, sulla base delle registrazioni della videocamera posta fuori dal supermercato vicino al luogo dove si è consumata la strage. Le immagini mostrerebbero un uomo lanciare la bottiglia incendiaria e allontanarsi. Al momento, stando alle notizie riportate dai principali giornali, si esclude la pista dell’odio razzista.
Ma questo fatto, di mera e orribile cronaca nera, consente, come spesso avviene, di aprire altre finestre sul panorama sociale in cui viviamo. Prima di tutto, sulla violenza che permea la nostra società e i nostri territori, che deve davvero imporci una seria riflessione.
La notizia è stata accompagnata da descrizioni mediatiche diametralmente opposte, specchio dei commenti che le tre morti hanno suscitato. Se per alcuni si tratta di un caso estremo di xenofobia, alimentata dal populismo di destra ormai sempre più diffuso, per altri è invece una faida tra clan, data per certa nonostante le indagini siano in corso. Altri optano per una narrazione che parla di degrado: è il caso de Il Giornale (che già pochi giorni fa aveva dato la notizia del suicidio di un giovane straniero, ritrovato impiccato nei pressi della Stazione centrale, come fosse una questione dei “degrado”).
Le voci del quartiere, invece, si dividono tra chi sottolinea la necessità di stringersi intorno al dolore umano per la morte di tre persone e chi, pur esprimendo amarezza, non perde occasione per dire che “siamo esasperati dalla presenza di queste persone”. Su questo binario si moltiplicano i commenti razzisti, in primis sui social: “quante storie..”, “w il fuoco”, ma anche condanne per i genitori che “devono solo biasimare se stessi”.
Ci sono poi le strumentalizzazioni politiche di chi, anche davanti alla morte di due bambine e di una ragazza, non riesce a scegliere il silenzio, come ad esempio CasaPound – che martedì era proprio davanti al luogo della strage a raccogliere firme per una proposta di legge sul cosiddetto reddito di natalità – che su Twitter pubblica un commento, tramite il proprio capogruppo del X Municipio capitolino, puntando il dito sugli “accampamenti abusivi”.
La morte di queste tre persone apre il nostro sguardo a una società rancorosa e violenta. Che non piange di fronte alla perdita di vite umane ma che continua a alzare i toni.
Fortunatamente non è la sola: ieri, sul luogo della strage si sono riunite circa un centinaio di persone, residenti nel quartiere, che hanno sfilato per le strade con lo striscione “Centocelle antirazzista”, e che si sono strette attorno alla madre delle bambine e al suo dolore. In questo clima di odio, è un segnale importante e da far emergere. Come un esempio fondamentale lo ha dato l’uomo che, da solo, ha lasciato tre rose e un biglietto: “Care amiche, mi sento in colpa pure io”, ha scritto, facendo affiorare un senso di umana compartecipazione al dolore. Una reazione silenziosa e forte, probabilmente la più giusta di fronte alla perdita di tre vite umane, peraltro così giovani.
C’è poi un altro aspetto che emerge: nel 2017 a Roma è ancora possibile che tredici persone vivano in un camper in un parcheggio. Evitando strumentalizzazioni improprie, non si può fare a meno di ricordare che questo avviene anche perché qui, come altrove, la garanzia del diritto all’abitare e, specificamente, dell’inserimento abitativo e sociale delle comunità rom, sono temi sostanzialmente rimossi dall’agenda delle istituzioni cittadine.