In questi giorni si parla del rinnovo dell’accordo tra Italia e Libia sui migranti. Ieri abbiamo letto questa notizia: “Circa 600 migranti sono stati rilasciati dal centro di detenzione di Abu Slim nelle strade. La loro sicurezza desta preoccupazione poiché gli scontri armati continuano a Tripoli”. Questo scriveva l’Organizzazione Internazionale per le migrazioni in Libia su Twitter lo scorso 29 ottobre. L’Oim è l’organizzazione internazionale che, non senza dubbi e polemiche, gestisce più partite nel Paese africano con il quale l’Italia tramite l’allora ministro degli Interni Minniti ha firmato un accordo per la gestione e il controllo dei migranti in transito due anni fa.
Due anni dopo, l’Oim ci dice che i migranti chiusi nei centri di detenzione libica sono a rischio. Rinchiudere persone in zone di guerra le mette infatti oggettivamente a rischio di finire sotto il fuoco incrociato e morire in una guerra non loro. Naturalmente quello della guerra non è il solo pericolo che corrono i migranti. Nei centri di detenzione e da parte della Guardia Costiera libica abbiamo osservato – e in tanti hanno documentato – violenze, torture, stupri. Non mancano poi le prove di una cooperazione tra i trafficanti di esseri umani e la stessa Guardia costiera che il governo italiano sostiene per non far partire i migranti dalle coste africane. La stessa Guardia costiera libica, ha redatto un regolamento per le Ong che effettuano soccorsi in mare per limitarne il più possibile le attività.
In teoria, il lavoro di controllo delle coste dovrebbe essere monitorato e controllato dall’Ue, solo che da mesi nessuna missione effettua viaggi di controllo. Troppo pericoloso per i funzionari. Ma non per i migranti, sembrano pensare a Bruxelles. I centri a cui hanno accesso le organizzazioni internazionali si contano sulle dita di una mano (in totale sono 19).
In questi giorni (entro il 3 novembre) l’accordo con la Libia viene ridiscusso e, a quanto ha annunciato il ministro degli Esteri Di Maio, verrà modificato ma non superato. Si parla di maggior accesso di organizzazioni umanitarie nei centri di detenzione dove sono rinchiuse dalle tre alle seimila persone, di una ripresa dei programmi di rimpatrio, di miglioramento delle condizioni nei centri di detenzione. Basterebbe? No. L’impianto dell’accordo non cambia e la ragione è semplice e l’ha spiegata Di Maio alla Camera: il Memorandum ha fatto crollare le partenze dalla Libia e, quindi, gli arrivi sulle nostre coste. Lo scopo era quello ed ha funzionato.
Dell’accordo e di tutti i contatti non limpidi avuti con le organizzazioni libiche – che siano la Guardia costiera, i trafficanti di esseri umani o le milizie – hanno scritto e documentato Reuters, Associated press e, in Italia, Nello Scavo e Francesca Mannocchi su Avvenire ed Espresso. Il viaggio del capo locale della Guardia Costiera libica della zona di Zawhia, Abdul Rahman Milad in arte Bijia, è ormai cosa nota a tutti. Lo scopo? Sempre lo stesso, coordinarsi per rendere efficace il lavoro di blocco delle partenze – anche usando i bastoni, come si vede fare in un video gli uomini di Bija.
Dopo l’accordo con la Libia, le partenze sono diminuite drasticamente. Attenzione però, quel calo è solo in parte figlio del maggior attivismo delle fragili autorità libiche. C’è la guerra, c’è la fine della tensione tra Etiopia ed Eritrea, c’è una situazione meno tesa in Gambia, da dove i richiedenti asilo erano passati da 0 a quasi 10mila tra 2016 e 2017. E poi c’è l’accordo con la Turchia, dove i rifugiati non sono solo siriani, ma provengono anche da est (Pakistan, Afghanistan). Solo per fare qualche esempio.
Contro il rinnovo degli accordi si sono espressi in tanti. Deputati, senatori ed eurodeputati di maggioranza, il tavolo Asilo di cui fanno parte Arci, Acli, Amnesty, Comunità di Sant’Egidio, Caritas, ActionAid, Emergency e molti altri. “Le modifiche proposte all’accordo Italia-Libia sono un contraddittorio ‘maquillage umanitario’: mentre si annuncia di voler migliorare le cose – con soluzioni difficilmente realizzabili – si perpetuano scellerate politiche di respingimento e detenzione sulla pelle delle persone” leggiamo in un comunicato di MSF.
L’Italia, insomma, se proprio vuole il rinnovo dell’accordo con la Libia, dovrebbe ottenere garanzie sulla detenzione in quei centri e sul modo in cui vengono trattate le persone (che significa maggior accesso, controlli, magari gestione da parte delle organizzazioni internazionali), l’apertura di corridoi umanitari in maniera permanente. E poi, Italia ed Europa compatte dovrebbero lavorare sulla Libia in generale. L’idea che un Paese distrutto e in guerra rispetti i diritti umani e gestisca senza lucrarci (o ricattare l’Europa) un fenomeno complesso, è sinceramente risibile.
Due anni fa allo IAI il minostro Minniti parlava di Libia a una platea di esperti. Tra le cose che vantava c’erano l’apertura di un centro di detenzione modello gestito dall’OIM che sarebbe stato il primo di molti e l’annuncio di corridoi umanitari. Entrambe le previsioni si sono rivelate sbagliate e oggi persino l’ex ministro degli Interni ammette che quegli accordi vanno cambiati. La giustificazione è il quadro interno cambiato. La verità è che di notizie sulle violazioni dei diritti umani in Libia ne avevamo anche prima della firma del Memorandum. Minniti dice che non è giusto denunciare gli accordi (che l’Italia ha promosso) in maniera unilaterale. Il rischio sarebbe quello di peggiorare la situazione.
Di sicuro serve un vero ripensamento delle relazioni con la Libia. E il primo passo è fermare il rinnovo automatico dell’accordo. L’impressione invece è che si arrivi al suo rinnovo magari con qualche ritocco e che, se non ci fossero i noiosi della società civile a protestare, il rinnovo sarebbe stato tacito (illegale e criminale).
(Martino Mazzonis)