Elvira, Samia, Paula, Mohamed, Lucia, Maria e Khaled: sono solo alcuni dei giovani “G2” con i quali Lunaria e molte altre associazioni hanno condiviso il lungo e faticoso lavoro di raccolta firme sulle due leggi di iniziativa popolare proposte dalla campagna l’Italia sono anch’io per riformare la legge 91/92 sulla cittadinanza e per introdurre il riconoscimento del diritto di voto amministrativo per i cittadini stranieri stabilmente soggiornanti nel nostro paese.
La campagna, lanciata da 19 organizzazioni, tra associazioni e sindacati, e sostenuta da decine di comitati locali, portò tra gli inizi di ottobre 2011 e il 6 marzo 2012, all’organizzazione di centinaia di iniziative in tutto il paese e alla raccolta di più di 200mila firme.
Il messaggio, efficacemente sintetizzato nello slogan scelto “L’Italia sono anch’io”, era molto semplice e di facile comprensione: riconoscere finalmente come cittadine e cittadini i 5 milioni di persone che lo sono già di fatto perché da tempo vivono nel nostro paese, qui nascono o crescono, studiano, lavorano, sviluppano le proprie relazioni, maturano i propri sogni, immaginano il proprio futuro. Poiché non sempre, ma spesso, nella vita reale i dati di fatto hanno la meglio sulla demagogia, quel messaggio fu immediatamente compreso e trovò ampio consenso nell’opinione pubblica.
Oggi, dopo ben tre anni e mezzo dal deposito alla Camera di quelle proposte, un testo di riforma della legge sulla cittadinanza è stato approvato in aula in prima lettura alla Camera. 310 voti favorevoli, 63 contrari e 83 gli astenuti.
E’ un testo molto diverso da quello proposto dalla campagna. E tuttavia, in tempi in cui non è facile che un’iniziativa promossa dalla società civile abbia molte chances di trovare un’eco in Parlamento, si tratta di un passo significativo perché, se la legge venisse definitivamente approvata al Senato, avvicinerebbe come è giusto che sia il paese formale a quello reale e, soprattutto, renderebbe più facile la vita a migliaia di persone.
Adesso il compito della campagna L’Italia sono anch’io e dei giovani di G2 che hanno svolto un lavoro caparbio e preziosissimo di interlocuzione con i parlamentari proprio nella fase finale del dibattito alla Camera, è quello di fare in modo che al Senato il testo non solo non sia modificato in peggio, ma possibilmente sia migliorato.
Ci sono almeno tre modifiche che sono auspicabili:
a) l’introduzione di un articolo che intervenga a facilitare la naturalizzazione dei cittadini stranieri adulti stabilmente soggiornanti nel nostro paese, “sacrificati”, nel corso delle mediazioni in Commissione, per raggiungere un accordo all’interno della maggioranza;
b) svincolare la possibilità di acquisire la cittadinanza da parte dei minori nati in Italia dalla titolarità di un permesso di soggiorno Ue di lungo periodo da parte di almeno uno dei genitori: per ottenere questa tipologia di soggiorno vi sono requisiti di reddito stringenti, dunque subordinare il diritto alla cittadinanza alla sussistenza di tale requisito significa di fatto introdurre un principio discriminatorio fondato sul reddito;
c) cancellare quel comma con cui all’ultimo minuto si è modificata la norma transitoria grazie alla quale coloro che al momento di entrata in vigore della legge hanno un’età superiore ai 20 anni e sono in possesso dei requisiti previsti dalla legge (nato in Italia o ingresso prima dei 12 anni, frequenza, per almeno 5 anni, di uno o più cicli presso istituti scolastici appartenenti al sistema nazionale di istruzione o percorsi di istruzione e di formazione professionale triennale o quadriennale idoneo al conseguimento di una qualifica professionale o positiva conclusione del corso di istruzione primaria), possono richiedere la cittadinanza se sono stati residenti in Italia in modo continuativo negli ultimi cinque anni. La modifica dell’ultimo minuto ha infatti previsto che l’ufficiale di stato civile debba richiedere al Ministero dell’Interno un nullaosta relativo all’insussistenza di precedenti dinieghi della cittadinanza per motivi di sicurezza della Repubblica o di provvedimenti di espulsione o di allontanamento per gli stessi motivi di sicurezza nazionale. Ma a differenza di quanto previsto per un’analoga verifica per l’ottenimento del permesso di soggiorno di lunga durata, il Ministero dell’Interno ha ben sei mesi di tempo per rispondere.
Al di là dei limiti sopra accennati, il passaggio di oggi è sicuramente un primo passo importante. Perché non resti l’unico è essenziale che la discussione della proposta inizi e si chiuda velocemente al Senato: senza ulteriori compromessi al ribasso.