Sotto il caldissimo sole di un luglio afoso, sono tanti i vacanzieri che si riversano sulle spiagge, spesso ignari, o forse indifferenti alle tragedie che quello stesso mare, bello e assassino, nasconde.
Tanti, troppi i dispersi e i morti che questo cosiddetto “mare di mezzo” porta con sé. Ieri, l’ennesima tragedia del mare si è consumata alle porte del nostro “Belpaese”. Non è facile affrontare questi eventi, ma è giusto farlo per cercare di ricordare che questi uomini e donne, chiamati dai media “clandestini”, muoiono in mare nel tentativo di raggiungere l’Italia, alla ricerca di un orizzonte di vita migliore. Anche ieri, come in altre occasioni, il dibattito pubblico ha visto l’alternarsi di indignazione massmediatica a dichiarazioni di cordoglio da parte di rappresentanti istituzionali.
Ma purtroppo, con molto rammarico, dobbiamo constatare che l’attualità che conquista i titoloni da prima pagina dei quotidiani non è questa: una tragedia come quella di ieri, con ben 54 morti in mare, non è degna di grandi titoli, quanto uno sbarco di altrettanti migranti. Questi esseri umani portati dal mare verso le nostre coste scompaiono nel nulla, inghiottiti dal mare stesso che li ha trasportati. Gli altri, quelli che arrivano, quelli che riescono a sbarcare, quelli sì che fanno notizia: scatta repentina la “sindrome da assedio e da invasione”. E comunque sia, entrambe le modalità di proporre questo tipo di notizie sono errate e fuorvianti.
Ieri, tutti i principali quotidiani riportavano la notizia data dall’Alto commissariato Onu per i Rifugiati (Unhcr) circa la testimonianza dell’unico superstite di questa tragedia: un esile corpo aggrappato ad una tanica che vagava nel buio della notte. Erano in tutto 55 persone a bordo di un gommone, quasi tutti cittadini eritrei: tutti morti, tranne uno, di disidratazione dopo un’agonia di 15 giorni in mare aperto. Una prima riflessione dalla quale partire è come sia possibile che per 15 giorni nessuno in mare abbia notato questa imbarcazione che vagava nelle acque.
E poi: com’è possibile che l’Unhcr si debba appellare alla sensibilità dei vari timonieri delle imbarcazioni, affinché vigilino e ascoltino l’antica legge del mare, anziché parlare ai seriamente ai governi?
Anche se quasi tutti i quotidiani non hanno fatto altro che far rimbalzare le cifre (solo nel 2012, in 1300 sono giunti via mare in Italia dalle coste libiche e dall’inizio dell’anno, sono circa 170 gli immigrati morti o dispersi in mare nel tentativo di raggiungere l’Europa dalla Libia), siamo sicuri che la gente abbia recepito il senso reale di questa tragedia?
E intanto, i media prontamente già dirottano l’attenzione sugli sbarchi successivi: un gommone segnalato a sud di Portopalo di Capo Passero con 51 persone a bordo, 39 uomini 11 donne e una bambina di circa 3 anni; una barca a vela con 25 immigrati di nazionalità siriana, tra loro 12 donne, due delle quali incinte ed una ultraottantenne, e 4 bambini, trovata incagliata vicino alle coste reggine; sempre in Calabria altri settantaquattro migranti di varie nazionalità sbarcati nella notte sulle coste di Isola capo Rizzuto, nel crotonese, tra i quali 13 donne e 27 minori.
Chissà quanti altri morti ci sono di cui non abbiamo notizia, e quante altre vittime innocenti delle politiche securitarie e discriminatorie che sembrano trionfare in Europa, ci saranno ancora. Chissà cosa intendeva poi, oggi, il Ministro Riccardi affermando che “il Mediterraneo deve tornare ad essere un mare sicuro per tutti” …