Una proposta di legge di iniziativa popolare chiede il ‘riconoscimento’ dei rom e dei sinti come minoranza e del romanès come lingua da tutelare. Cosa cambierebbe se la legge fosse approvata?Lo spiega Sergio Bontempelli questo articolo, pubblicato su Corriere delle Migrazioni. Buona lettura!
«Ai cittadini italiani appartenenti alla minoranza dei Rom e dei Sinti si applicano le disposizioni della legge 15 dicembre 1999, n. 482». Recita così uno dei primi articoli della proposta di legge di iniziativa popolare promossa dalle associazioni rom, e presentata alla stampa pochi giorni fa. Alla maggior parte dei nostri lettori dirà poco il riferimento a quella norma del 1999, ma per chi si occupa di cose rom, la citazione è chiara. E provoca, bisogna dirlo, un sospiro di sollievo…
La «482», infatti, è legge che tutela le cosiddette «minoranze linguistiche storiche», cioè le comunità che – pur essendo italiane a tutti gli effetti – parlano una lingua diversa dall’italiano: il caso forse più conosciuto è quello dei tedeschi dell’Alto Adige, ma ve ne sono molti altri sparsi per la penisola. Già, ma che c’entrano gli «zingari» con gli altoatesini? E perché mai un gruppo così nutrito di associazioni chiede di applicare ai rom una legge pensata per gli sloveni del Friuli, per i tedeschi di Bolzano o per gli arberesh del Sud Italia, che parlano un antico dialetto albanese?
Il fatto è che i rom e i sinti hanno una propria lingua, il romanès (ne abbiamo parlato in uno dei primi articoli della rubrica «Rom-anzi», sempre su Corriere delle Migrazioni). Tra l’altro – contrariamente a un diffuso pregiudizio – gran parte dei cosiddetti «zingari» sono cittadini italiani, e lo sono spesso da molte generazioni. Insomma, i rom sono a tutti gli effetti una minoranza linguistica: e però la legge 482 non li ha riconosciuti. «La Repubblica italiana», recita l’art. 2, «tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il francoprovenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo».
Come si vede, in questo nutrito elenco di lingue manca proprio il romanès. E a questo punto dobbiamo fermarci un attimo, per provare a rispondere ad alcune domande: perché la legge sulle minoranze linguistiche storiche non hariconosciuto i rom e i sinti? Cosa significa, dal punto di vista giuridico, «riconoscere una lingua»? Che beneficio potrebbero trarre le comunità rom da questo riconoscimento?
Cosa prevede la legge sulle minoranze linguistiche
Partiamo dalla seconda domanda: quali vantaggi derivano dall’essere riconosciuti come minoranza? Torniamo all’esempio di prima, e pensiamo a un cittadino dell’Alto Adige, appartenente alla minoranza tedesca, e residente in un Comune con una forte presenza di germanofoni. Quando questo cittadino si reca all’anagrafe per fare la carta di identità, ha il diritto di rivolgersi in tedesco all’impiegato dello sportello: se quest’ultimo parla solo italiano, si dovrà chiamare un interprete fornito dall’ufficio (ovviamente a spese del Comune).
Gli atti pubblici (ad esempio le delibere comunali, i bandi di concorso, i documenti all’albo pretorio e così via) saranno tradotti anche nella «lingua minoritaria», e il nostro cittadino potrà tranquillamente leggerli in tedesco. A scuola, il figlio seguirà lezioni in italiano e in tedesco, e al ritorno a casa la famiglia potrà ascoltare il TG regionale in edizione bilingue. Se eletto in consiglio comunale, il nostro cittadino potrà fare interventi parlando la sua lingua.
Non basta. La legge 482 prevede anche specifiche «provvidenze per l’editoria e per gli organi di stampa», oltre che finanziamenti per istituti e associazioni culturali. Un gruppo di cittadini tedeschi, dunque, potrà organizzare un convegno, aprire una biblioteca, fondare un giornale o un’emittente radiotelevisiva, usufruendo di fondi statali e regionali per le lingue minoritarie.
L’esclusione dei rom e dei sinti
Perché mai i rom e i sinti non sono stati riconosciuti come minoranza, nel senso appena descritto? Nel dibattito parlamentare che portò all’approvazione delle legge 482, molti deputati dissero che i rom mancano di un «radicamento territoriale». Detto in termini meno tecnici: i tedeschi sono concentrati in alcune zone dell’Alto Adige, i friulani abitano in Friuli, i sardi in Sardegna, gli arberesh in alcune aree del Sud Italia, e così via. Ogni «minoranza» ha un «suo» territorio, dove è presente in numeri significativi (o addirittura maggioritari).
Gli «zingari», invece, non hanno una loro zona di elezione: sono dappertutto, e dappertutto rappresentano un’esigua minoranza. Mal si adattano, dunque, ad una norma che tutela le minoranze «concentrate»: è questo il motivo «ufficiale» che ha spinto il Parlamento a non includere il romanès tra le lingue tutelate. Certo, a pensar male si fa peccato – diceva un politico della Prima Repubblica – ma spesso ci si indovina: viene perciò il sospetto che accanto alla motivazione «ufficiale» ve ne fossero altre meno nobili, diciamo così, che attengono alla secolare ostilità nei confronti dei rom.
Comunque, almeno formalmente, il Parlamento si impegnò ad esaminare il caso del romanès, e a farne oggetto di una specifica legge. Poi, come spesso accade in Italia, deputati e senatori si «dimenticarono» dell’impegno preso, e la cosa finì in cavalleria. Così, da quasi venti anni le associazioni rom e sinti chiedono, inascoltate, una legge che tuteli la loro lingua e le loro culture.
La proposta di iniziativa popolare
Adesso, un nutrito gruppo di associazioni lancia una proposta di iniziativa popolare, per «costringere» il Parlamento ad occuparsi della questione. Il testo è molto lungo e complesso, e per la verità non parla solo del riconoscimento linguistico: nei 45 articoli di cui si compone, si trovano riferimenti ai «campi nomadi», agli sgomberi, al diritto alla casa, al lavoro, alla non discriminazione e alla parità di trattamento.
Si tratta di una scelta precisa, su cui non tutti gli attivisti sono concordi: alcuni fanno notare, ad esempio, che il diritto a un’abitazione dignitosa non dovrebbe essere inserito in una norma «per i rom e i sinti», perché si tratta di un diritto universale, valido per tutti. In effetti, in passato si erano fatte scelte diverse: il testo presentato anni fa da un nutrito gruppo di deputati – tra i quali la storica attivista antirazzista Mercedes Frias e l’attuale Sindaco di Palermo Leoluca Orlando – si limitava ad esempio ad emendare la legge 482, includendo il romanès tra le lingue tutelate. Ma questo è un altro dibattito, e un’altra storia.
Sergio Bontempelli