La Corte di Appello di Milano ha rigettato il ricorso presentato dal Ministero dell’Interno contro la decisione del Tribunale di Milano di disporre il rilascio del visto per ricongiungimento familiare a favore della figlia minorenne di una cittadina rifugiata di cittadinanza eritrea.
La donna, dopo aver ottenuto lo status di rifugiata, aveva avanzato la richiesta di ricongiungimento. Passati i 180 giorni previsti dalla legge, la Prefettura non aveva ottemperato alla pratica. Era dunque intervenuto, su richiesta della donna, il Tribunale di Milano, decretando il rilascio del visto di ricongiungimento familiare da parte dell’Ambasciata italiana.
Al decreto si era opposto il Ministero dell’Interno, contestando la mancanza di documentazione attestante il legame di parentela sulla base del risultato negativo del test del DNA che era stato richiesto dalle autorità italiane .
Con la sentenza depositata il 12 febbraio scorso, la Corte d’Appello di Milano ha però sottolineato che il ricorso al test del DNA per verificare i vincoli familiari deve avvenire solo “quando i rapporti di parentela dedotti per il ricongiungimento non possono essere adeguatamente documentati o comunque quando sussistano fondati dubbi sull’autenticità di predetta documentazione”: non era questo il caso in esame, visto che la documentazione portata dalla cittadina eritrea non creava alcun dubbio in merito alla validità del legame familiare.
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