Ieri, il ministro dell’Interno Matteo Salvini, dagli studi di Telelombardia, nel corso di una trasmissione, ha dichiarato: «Al Ministero mi sto facendo preparare un dossier sulla questione rom in Italia, perché dopo Maroni non si è fatto più nulla, ed è il caos». L’intento sarebbe quello di effettuare una sorta di «ricognizione sui rom in Italia per vedere chi, come, quanti sono, con lo scopo di creare una anagrafe». Poi, ha aggiunto e precisato: «Gli stranieri irregolari andranno espulsi, mentre i rom italiani purtroppo te li devi tenere a casa».
Tuttavia, dopo l’ondata di commenti a dir poco indignati per il tenore discriminatorio delle affermazioni fatte, nel tardo pomeriggio, il ministro ha fatto una sorta di marcia indietro e ha ribadito: “Non è nostra intenzione schedare o prendere le impronte digitali a nessuno, nostro obiettivo è una ricognizione della situazione dei campi rom. Intendiamo tutelare prima di tutto migliaia di bambini ai quali non è permesso frequentare la scuola regolarmente perché si preferisce introdurli alla delinquenza” (Ansa).
Plaude all’iniziativa Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, la quale su Twitter ha coniato appositamente un neologismo per l’occasione: “Per i nomadi la nostra proposta è che si allestiscano delle piazzole di sosta temporanee dove si pagano le utenze e si sosta massimo sei mesi, dopodiché ci si deve spostare, punto. Quindi va bene censirli dopodiché se sei nomade devi nomadare, non puoi essere stanziale”.
Ora, se pur non si vuol parlare di “censimento” o ancor peggio di “schedatura”, anche il termine “ricognizione” ha il sinistro senso di rievocare, nel linguaggio militare, “ogni forma di azione o di attività bellica, compiuta da reparti militari o da mezzi navali e aerei, intesa ad accertare le reali condizioni della situazione propria e, soprattutto, del nemico” (Dizionario Treccani).
Il fatto è che, al di là di una sottigliezza “verbale”, Matteo Salvini ha riproposto di fatto, in una nuova salsa, una misura che in passato è già stata utilizzata – quella del “censimento” appunto – e per la quale l’Italia è stata condannata a più riprese.
Nel corso del mese di maggio 2008, lo ricordiamo per rispolverare la memoria, l’allora governo Berlusconi aveva adottato una “Dichiarazione sullo stato di emergenza in relazione agli insediamenti di comunità nomadi nel territorio delle regioni Campania, Lazio e Lombardia” (il “Decreto Emergenza Nomadi” o “DEN”). Queste misure di emergenza conferivano (prorogate fino al 2011, ndr) ai prefetti delle città di Roma, Milano e Napoli poteri straordinari “in deroga alle disposizioni di legge in vigore”, per adottare misure indirizzate, direttamente o indirettamente, ai rom, sinti e ai cittadini di paesi terzi non documentati, residenti nei cosiddetti ‘campi nomadi’. Gli specifici “poteri di emergenza” comprendevano: il controllo di campi autorizzati e irregolari, l’identificazione ed il censimento delle persone (minori inclusi, attenzione!) presenti in tali luoghi, la raccolta di impronte digitali e fotografie, l’espulsione e l’allontanamento di persone in stato “irregolare” (non differente dalle affermazioni salviniane attuali), lo sgombero o ricollocamento dei “campi nomadi” e lo sfratto dei loro abitanti, nonché all’apertura di nuovi “campi nomadi”.
Nel 2008, tramite il censimento, il governo italiano aveva creato una banca dati contenente informazioni individuali riguardanti soltanto ed esclusivamente i rom al chiaro scopo, fra gli altri, di smantellare i campi e di espellerli dal paese, in piena violazione della Direttiva europea sulla Protezione dei Dati, che vieta l’elaborazione di dati sensibili relativi ad un singolo gruppo “etnico”.
Il Tar del Lazio, nel giugno 2009, aveva già ritenuto parzialmente illegittimo il decreto, specie in riferimento all’identificazione delle persone. Il Parlamento Europeo, poi, il 7 settembre 2009, ha di nuovo censurato le identificazioni (non solo in Italia), con particolare riguardo ai minori o ai cittadini già in possesso di un regolare documento d’identità.
E’ giunto poi il parere dato dal Consiglio di Stato (Sentenza della IV Sezione del 16 novembre 2011) che ha ritenuto insussistente una «emergenza nomadi» in Italia, presupposto su cui si basava l’intero intervento di Maroni.
Nel giugno 2013, l’importante sentenza del tribunale di Roma (noi ne parlavamo qui) ha riconosciuto la discriminazione di un cittadino rom italiano, Eviz Salkanovic, che era stato “censito” insieme ad altri migliaia di rom residenti a Roma, nonostante avesse in tasca una carta di identità valida. I giudici hanno stabilito che quello voluto da Maroni non era un “censimento”, bensì una vera e propria “schedatura etnica“, e così hanno ordinato di cancellare le impronte digitali e i dati raccolti dalla polizia durante le operazioni nei campi rom. Eppure, all’apparenza, il “censimento” era stato presentato come una condizione necessaria per accedere a nuovi alloggi. Quindi, ricordiamo che, secondo la sentenza, “raccogliere le impronte digitali e le informazioni personali di migliaia di persone in un archivio, esclusivamente in base all’appartenenza a un particolare gruppo etnico o sociale, oltre che costituire una discriminazione dal punto di vista giuridico, rappresenta una violazione della dignità umana. Risulta particolarmente grave perché effettuata da autorità pubbliche preposte alla tutela dei diritti di chi vive sul territorio”.
Dopo che si è chiuso il lungo viaggio della nave Acquarius, ora, il ministro cambia bersaglio, mantiene lo stesso registro e torna a proporre una “ricognizione” dei cittadini rom. Intanto, Roberto Speranza, deputato di Liberi e Uguali, annuncia di aver denunciato Matteo Salvini “per istigazione all’odio razziale”, ai sensi della legge Mancino 654/75″.