E’ stata appena pubblicata un’interessante ricerca condotta dall’Associazione Asilo in Europa, sulle decisioni assunte dal Tribunale di Bologna circa i ricorsi presentati contro le decisioni della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.
Tale rapporto, frutto dell’analisi di 233 fascicoli del Tribunale di Bologna, rappresenta un primo passo nel tentativo di colmare una lacuna evidente nella ricerca italiana in materia di protezione internazionale. Infatti, nonostante l’importanza e la delicatezza del tema, allo stato attuale lo studio delle motivazioni per cui i ricorsi contro le decisioni delle Commissioni territoriali vengono accettati o respinti e le modalità attraverso le quali i giudici arrivano a una decisione di accoglimento o di rigetto è a dir poco carente.
Oltre a presentare una serie di dati quantitativi, il rapporto si pone l’obiettivo di cercare informazioni più “dense”, che consentano – seppur parzialmente – di dare senso alle pratiche che sottendono le decisioni esaminate e di fare, per così dire, “parlare” i meri dati numerici.
Il rapporto evidenzia gli elementi che più frequentemente hanno indotto il giudice a negare la protezione internazionale, tra i quali spicca la riconduzione a questioni di natura privata dei rischi di persecuzione o di danno grave esposti nel ricorso, l’utilizzo del concetto di “alternativa della protezione interna”, l’insufficienza di prove da parte del ricorrente o l’accertamento della non credibilità della sua narrazione. Parte del rapporto è inoltre dedicata all’attività istruttoria del tribunale e all’utilizzo delle informazioni sul Paese di origine (COI), nonché all’incidenza sull’esito del ricorso della documentazione prodotta dal ricorrente. Infine, ci si sofferma sulla valutazione della credibilità, al fine di individuare i principali elementi su cui il tribunale si è fondato per ritenere non veritiera la narrazione del ricorrente.
Il presente lavoro di ricerca ha messo in luce alcune specifiche disfunzionalità. In particolare, si evidenzia nella maggior parte dei casi un’attività istruttoria carente, riguardo sia alla situazione esistente nel Paese di origine sia alla possibilità del ricorrente di avvalersi della protezione da parte delle autorità del suo Stato. Inoltre, è apparsa nettamente prevalente una valutazione incentrata sul Paese di origine piuttosto che sulle (anziché in aggiunta alle) circostanze personali del ricorrente e alla sua situazione individuale. Anche gli aspetti legati alla credibilità della persona risultano aver inciso eccessivamente sull’esito del ricorso, a discapito di un esame approfondito della documentazione primaria o secondaria prodotta. Infine, si è rilevata in certi casi un’interpretazione erronea della norma, in riferimento soprattutto al concetto di “alternativa della protezione interna” e di “danno grave in situazione di violenza indiscriminata”. Il rapporto si conclude con alcune raccomandazioni.
E’ possibile scaricare liberamente il rapporto qui.