Riceviamo e pubblichiamo il comunicato con cui Rete Diritti in Casa di Parma denuncia un caso di sfratto ai danni di una famiglia di origine tunisina con tre bambini che vive a Fidenza.
In tempo di pandemia, a Fidenza, una famiglia di origine tunisina è gettata per strada. Col consenso e le calunnie del sindaco Pd.
Il decreto detto Cura Italia, convertito nella legge del 24 aprile 2020, n. 27 , all’art. 103 stabilisce la sospensione degli sfratti fino al 1° settembre 2020. Si tratta dell’unico provvedimento in materia di politiche abitative assunto dal governo Conte bis. Sebbene questa legge presenti molte lacune, grazie all’art. 103 consente almeno l’attuazione, sia pur parziale, delle disposizioni che prescrivono di “stare tutti a casa”.
Orbene a Fidenza, comune del parmense di circa 25.000 abitanti, nonostante l’emergenza sanitaria in atto, il sindaco del Pd, Andrea Massari, ha sbattuto in strada una famiglia con tre figli minori; in tal modo esponendo al rischio di contagio non solo queste persone, ma anche coloro che dovessero venirne in contatto.
Lo sfratto, lo sgombero, la cacciata da casa sono sempre situazioni tragiche che incidono fortemente sulle condizioni fisiche e psicologiche di chi li subisce; in questo caso, viene messa in pericolo la vita stessa e la salute pubblica. Si tratta di un atto assai grave che anche le massime autorità, locali e non, dovrebbero sanzionare, in quanto, oltre tutto, vede coinvolti anche dei minori.
Le circostanze in cui questa situazione si è verificata sono indicative di un modus operandi meritevole di alcune considerazioni.
La famiglia in questione è di origini tunisine, da molti anni vive a Fidenza, ove abitava in una casa popolare. Da un certo momento in poi, la perdita del lavoro da parte del padre di famiglia impedisce loro di pagare regolarmente l’affitto. Inoltre, non riuscendo a mantenere i tre figli, i genitori sono costretti ad affidarne due ai parenti in Tunisia. Più tardi, la famiglia riesce a superare pian piano la fase di difficoltà, così da formalizzare un piano di superamento della morosità relativa all’alloggio popolare, mentre i figli tornano a Fidenza per frequentare la scuola pubblica.
Dai documenti in nostro possesso risulta che del debito relativo al canone di affitto, che ammontava a 18.000 euro, la famiglia ne ha pagati 16.000: gli ultimi versamenti risalgono a gennaio del 2020. Dunque, non si comprende perché mai i servizi sociali, l’assessore competente e il sindaco non abbiano impedito lo sfratto, che, invece, viene eseguito il 25 gennaio 2020. La famiglia è quindi ospitata in un residence. In tal modo, il Comune finisce per gravarsi di una spesa di gran lunga superiore alla morosità residua del nucleo familiare.
La pandemia costringe l’amministrazione a prolungare l’ospitalità nel residence; nel contempo gli assistenti sociali infittiscono le minacce di un’imminente revoca dell’ospitalità, con inviti a tornare in patria (cosa impossibile al tempo del Covid-19) o a cercare una casa privata in affitto (allorché tutte le agenzie immobiliari sono chiuse).
Il 5 maggio, appena un giorno dopo il termine del lockdown (che non implica certo la fine dei rischi di contagio e della necessità di restare a casa), la famiglia viene cacciata anche dal residence, senza alcuna alternativa. Per ora ha la possibilità di pernottare al sicuro grazie all’interessamento del datore di lavoro che, a sue spese, ha procurato loro una stanza d’albergo.
Dal momento in cui la Rete Diritti in Casa di Parma rende pubblico un comunicato di denuncia di questa vicenda, il sindaco si scatena sulla stampa, elencando una lunga serie di nefandezze che sarebbero state compiute dal nucleo familiare: in gran parte vere e proprie falsità. Egli sostiene la tesi della morosità totale da parte della famiglia (che in realtà ha pagato quasi tutto), l’assenza da casa e le presunte strategie per mantenere l’alloggio popolare: il tutto dichiarato con tono autoritario, giustizialista e paternalista, da manuale leghista (si veda qui)
Il sindaco, inoltre, non si fa scrupolo di sciorinare dati personali, conditi con calunnie e chiacchiere di paese, in barba alla legge sulla privacy. Un comportamento da querela.
In realtà, l’unica “colpa” della famiglia è quella di non avere le spalle coperte, di aver trascorso dei periodi al limite della povertà assoluta e di poter attualmente contare su un solo salario. Aver sfrattato la famiglia dall’alloggio popolare, proprio quando era in grado di mantenerlo, è stato un errore imperdonabile da parte dei servizi sociali. In quella casa ci sono ancora tutti i loro mobili e gli oggetti di uso quotidiano. Il buonsenso vorrebbe che la famiglia tornasse ad abitarvi, data la sua piena disponibilità a pagare la morosità residua.
Nella situazione attuale, averla obbligata a lasciare anche il residence di emergenza, senza offrirle alternative, è un atto illegale e vergognoso. La casa è un diritto fondamentale, oggi più che mai.