La Questura di Roma ha negato a un gruppo di attivisti antirazzisti l’accesso al Cie di Ponte Galeria, nonostante la lista dei nominativi fosse già stata consegnata alla Prefettura. “Una funzionaria di polizia ci comunica che lei non ha ricevuto alcuna lista per ulteriori ingressi e che a decidere di negarci l’accesso sarebbe il dott. Mancini, responsabile dell’Ufficio immigrazione della Questura di Roma. A giustificare il diniego, le difficoltà connesse al cambio di gestione, le carenze non ancora risolte, la tensione dei reclusi…”, scrivono gli attivisti.
Di seguito pubblichiamo la loro importante denuncia.
Respinti dal Cie di Ponte Galeria. E pensare che volevamo essere trattenuti!
Svariati giorni prima avevamo chiesto di far parte della delegazione che avrebbe accompagnato nella visita al Cie di Ponte Galeria, vicino Roma, l’europarlamentare Barbara Spinelli (L’Altra Europa con Tsipras), in missione ufficiale.
Fra noi c’era chi lo aveva già visitato, numerose volte, e chi invano, nel lontano 1999, aveva cercato di far luce sul caso di un recluso: Mohamed Ben Said, morto la notte di Natale di quell’anno, la mandibola fratturata, forse imbottito di psicofarmaci, comunque “soccorso” quand’era già cadavere.
Sapevamo, dunque, di quell’immenso carcere di massima sicurezza, con sbarre e gabbie riservate a persone colpevoli di non essere cittadini italiani e di non avere titolarità per restare in Italia. Ma di vite Ponte Galeria e gli altri centri, durante gli anni, ne hanno recise numerose.
Entrare lì dentro è necessario, per conoscere e far conoscere all’esterno brandelli di storie di vite vilipese e de-umanizzate, provare a raccontare la rabbia, la rassegnazione, l’umiliazione dei “trattenuti”: quelli che gli attuali gestori chiamano, assurdamente, ospiti o, peggio ancora, utenti. Altrimenti, ci si abitua alla banalità del male, si finisce per considerarla ovvia, al massimo dolorosa ma inevitabile.
Fino al 2011, entrare nei Cie, dopo un’autorizzazione della Prefettura, non era impossibile. Poi, il 1 aprile, sopraggiunse la circolare del ministro Maroni, che permise l’accesso solo ai parlamentari e ai funzionari di alcune organizzazioni umanitarie, vietandolo a giornalisti, avvocati, studiosi, attivisti… Così, un gruppo di giornalisti lanciò la campagna LasciateCIEntrare, che mobilitò la società civile, attirò l’attenzione dei media e infine portò, durante il governo Monti, alla sospensione di quella circolare.
Nel frattempo, molti Cie hanno sospeso l’attività: di tredici che erano operanti, oggi ce ne sono cinque e con capienza ridotta. Continuano ad esservi recluse persone in situazioni le più varie, perfino richiedenti-asilo, ma soprattutto migranti che, scontata una pena carceraria, sono di fatto condannati a una seconda pena.
Fin dal 1998, quando furono istituiti dalla legge Turco-Napolitano col nome di Cpt, alcuni di noi non hanno mai smesso denunciarne l’arbitrio e l’irriformabilità; e a questo scopo negli anni recenti siamo entrati più volte nei Cie di tutta Italia.
Lo scorso anno, proprio in questi giorni e proprio a Ponte Galeria, era scoppiata la rivolta “delle bocche cucite”. Quasi una ventina di reclusi, infatti, si erano cuciti le labbra per protestare contro la lunghezza dei tempi di trattenimento (allora diciotto mesi) e contro le condizioni di vita all’interno. La protesta terminò il giorno di Natale, grazie alla mediazione di un sacerdote, ma a più riprese continuarono le fasi di tensione.
Solo da poco, finalmente, il governo ha drasticamente ridotto a novanta giorni i tempi massimi di trattenimento, ma i Cie restano ciò che sono: strutture concentrazionarie.
Intanto, a Ponte Galeria, a quello che sin dal 2010 era l’ente gestore, l’Auxilium, il 15 dicembre è subentrata la Gepsa, un’azienda francese, coadiuvata dall’Acuarinto, che ha vinto l’appalto riducendo drasticamente i costi (29 euro al giorno per ogni “trattenuto”), ma anche il personale e i servizi garantiti.
La visita programmata con Barbara Spinelli, per il 19 dicembre, cadeva, dunque, pochi giorni dopo il passaggio di consegne. Sicché la Prefettura, pur non negando esplicitamente l’ingresso, all’ultimo momento ci aveva “consigliato” di spostare la visita della nostra delegazione, fermo restando il diritto di entrare dell’europarlamentare, accompagnata.
Così, alle 13.30 circa del 19 dicembre, Barbara Spinelli varca le sbarre del Cie, insieme con due collaboratrici e con Marta Bonafoni, consigliera regionale del Lazio, la quale riesce ad entrare appellandosi al nulla osta pervenuto dal Viminale. Mentre i reclusi sono ammassati contro le sbarre dell’ultima inferriata, che dà sul cortile della mensa, e la polizia è schierata a far barriera, riesce a entrare dentro e a parlare con i prigionieri.
Nel contempo, da dentro, l’on. Spinelli verifica il parere favorevole della Prefettura e contratta affinché anche noi possiamo entrare. Ma una funzionaria di polizia ci comunica che lei non ha ricevuto alcuna lista per ulteriori ingressi e che a decidere di negarci l’accesso sarebbe il dott. Mancini, responsabile dell’Ufficio immigrazione della Questura di Roma. A giustificare il diniego, le difficoltà connesse al cambio di gestione, le carenze non ancora risolte, la tensione dei reclusi…
Mentre discutiamo con la funzionaria, avendo già consegnato i nostri documenti d’identità a un milite nel gabbiotto d’ingresso, lei controbatte con una frase infelice: «Qui dentro ha cercato di entrare gente con precedenti penali. Chi ci dice che non ne abbiate anche voi?».
Insomma, per difetti di comunicazione fra apparati dello Stato e per l’indisponibilità della Questura ad accettare le richieste di un organo di governo qual è la Prefettura, veniamo tenuti fuori o, meglio, possiamo entrare nel cortile tramite cui si dovrebbe poter accedere al centro.
Intorno a noi, dei cani –antidroga?– rinchiusi in un furgoncino dei Carabinieri abbaiano furiosamente: anche loro, forse, esasperati per essere in gabbia. Ci chiediamo se siano gli stessi che, da più di un anno, sono (o erano) condotti abitualmente all’ingresso della mensa per “tenere buoni” i reclusi che passavano per recarsi a mangiare.
Barbara Spinelli, Daniela Padoan e Marta Bonafoni escono più volte per tentare di trovare una soluzione. Gabriella Guido, portavoce di LasciateCIEntrare, telefona ai vari soggetti istituzionali, che negano sia stata consegnata la lista dei nostri nomi.
Nell’attesa, parliamo con i nuovi gestori. Alle nostre domande sullo stato attuale del Cie, replicano che le loro regole aziendali prevedono che si possano dare informazioni solo se vagliate anche dalla Prefettura. Daniela Padoan telefona alla responsabile-comunicazione dell’“azienda”, la quale aggiunge che, per ottenere informazioni, è d’obbligo inviare una richiesta scritta alla sede della società nonché alla Prefettura, cioè «al nostro cliente». Come se non si trattasse di atti pubblici la cui trasparenza sarebbe d’obbligo, soprattutto al tempo di Mafia Capitale.
A tarda sera, dopo che anche l’on. Spinelli ha terminato un secondo giro nel centro, ci allontaniamo da quell’incubo di gabbie. Ce ne andiamo col dubbio che la discrezionalità rispetto agli accessi, che abbiamo constatata e subìta, non sia un incidente casuale ma una scelta. Ribassati i costi e peggiorate, almeno per ora, le condizioni della struttura, temiamo che l’ostilità della Questura e dell’ente gestore verso visitatori “indiscreti” divenga la norma. Sicché la riduzione dei tempi di trattenimento potrebbe avere, come contraccolpo, il peggioramento, se possibile, delle condizioni di vita nel Cie.
Quando, al contrario, in una situazione normale ove non c’è niente da nascondere, la collaborazione della società civile con gli enti locali e istituzioni quali le Prefetture, le Questure e il ministero dell’Interno potrebbe contribuire all’attività di controllo, monitoraggio, corretta informazione dell’opinione pubblica.
Tutto ciò ci preoccupa per la sorte dei reclusi e per lo stato dei diritti dell’intero Paese. Ci preoccupa perché crescente, ci sembra, è la volontà di tornare a celare le gabbie per umani con un muro di gomma, così da interdire ai reclusi il diritto di testimoniare e chiedere aiuto a quella società civile e a quella politica che non si rassegnano.
Uno dei responsabili dell’ente gestore ci aveva detto che loro, pur non apprezzando posti simili, sono orgogliosi di gestirli: «Qualcuno deve pur farlo e noi sappiamo farlo meglio di altri». Parole che fanno venire i brividi. Anche noi non apprezziamo questi posti. Qualcuno dovrà pur darsi da fare per chiuderli definitivamente. Noi, insieme a tanti altri e altre, cercheremo di farlo al meglio e ci riusciremo.
Antonello Ciervo
Stefano Galieni
Cinzia Greco
Annamaria Rivera
Giacomo Zandonini
P.S. Barbara Spinelli ci chiede, nonostante sia riuscita ad entrare in virtù del suo mandato, di poter condividere questo testo e di firmarlo con noi. Siamo lieti di farlo.