Il 7 giugno è stato presentato, a Trieste, il report statistico sull’accoglienza dell’anno 2018, realizzato da Consorzio Italiano di Solidarietà (Ics), Fondazione diocesana Caritas di Trieste, La Collina Cooperativa Sociale, Lybra Cooperativa Sociale e Duemilauno Agenzia.
Il rapporto evidenzia che, nei primi quattro mesi del 2019, rispetto allo stesso periodo del 2018, i migranti che giungono attraverso la rotta balcanica si sono quasi triplicati: le accoglienze sono state 664, contro le 248 del 2018, con 294 trasferimenti verso altre regioni.
Tra il 2015 e il 2016, più di 650 mila migranti sono giunti in Europa attraverso la cosiddetta “rotta balcanica”, un lungo viaggio che, partendo dal confine tra Turchia e Grecia e attraversando i paesi ex jugoslavi, permette di raggiungere l’Europa. Con la costruzione del muro tra Ungheria e Serbia voluta da Orban nel 2015, e l’accordo, poi, tra Turchia e Ue del 2016, la rotta è stata “temporaneamente” chiusa (o solo virtualmente?) lasciando migliaia di migranti lungo le coste greche o al confine turco. Anche se è scomparso dalle cronache, dunque, il tema della rotta balcanica, secondo questo nuovo report, resta di forte attualità.
Secondo i dati raccolti, nel 2018 a Trieste sono arrivati 1.541 migranti, contro gli 840 del 2017. Il report racconta di una popolazione di richiedenti asilo e rifugiati giovane e composta per un terzo da nuclei familiari. Provengono per lo più da Pakistan (542), Iraq (274), Afganistan (118) e Kosovo (87); il 13% è minorenne. I posti programmati in città sono 1.200, in media però le presenze mensili sono state intorno alle 1.300.
A confermare questi dati è Gianfranco Schiavone, presidente di ICS, che in conferenza stampa dichiara: «Il primo dato rilevante è che abbiamo sempre più persone di quanti sono i posti disponibili in accoglienza. Ciò è dovuto al forte aumento di arrivi verificati nel corso del 2018, confermati nei primi mesi del 2019». Se un amento c’è, però, «non siamo in una situazione emergenziale». Per questo motivo «non vogliamo aumentare i posti “ordinari” dell’accoglienza, anche perché non si riuscirebbe a garantire l’inclusione sociale degli accolti. C’è invece bisogno di un’attenzione maggiore per garantire la prima accoglienza e i trasferimenti verso altre città meno esposte agli arrivi».
Nel report vi è anche una parte relativa alla salute dei migranti nella prima accoglienza. In sostanza, si tratta di persone in salute. Il tipo di disturbo è quello caratteristico di una popolazione che ha avuto un periodo recente in cui è stato sottoposto a stress fisico e psichico, ma non si registrano rilevanti patologie infettive. Si registrano, invece, molti casi di violenze subite durante il viaggio. Si tratta di persone ferite, anche da arma da fuoco, anche minori. Le violenze si verificano soprattutto in Croazia, al confine con la Bosnia Erzegovina, e sono compiute sia dalla polizia che dalle bande, come testimonia anche un recente rapporto curato da Amnesty International. Trieste si configura per i migranti come il primo luogo sicuro dopo tanta violenza.
Per quanto riguarda, poi, l’inclusione sociale e la formazione degli accolti, il report si occupa anche del numero elevatissimo di corsi di italiano, corsi di formazione, tirocini attivati ed enti coinvolti. Tuttavia, un dato particolarmente grave e preoccupante riguarda l’annullamento, con il nuovo bando, di tutte le attività di inclusione sociale e di formazione. Il risultato – fanno rilevare le associazioni – è che si avranno «centri-pollaio, possibilmente di enormi dimensioni, dove “parcheggiare” le persone, producendo tensione sociale». E le conseguenze saranno gravi anche a livello occupazionale.
“La scelta dell’accoglienza diffusa, che spinge verso l’autonomia dei beneficiari e verso la creazione di legami sociali con la popolazione fin dal loro arrivo, rimane il tratto distintivo peculiare del sistema di accoglienza triestino, che lo rende una sperimentazione avanzata nel panorama italiano”. La totale assenza di problematiche legate a tensioni sociali o di sicurezza ed ordine pubblico del modello dell’accoglienza diffusa rende stridente il confronto con “i sistemi di accoglienza di tipo concentrazionario e ghettizzante”, i quali sono caratterizzati ovunque da un forte acuirsi della tensione sociale e da una diminuzione complessiva del livello di sicurezza.
Le associazioni, proprio a questo proposito, tengono a precisare che, se la richiesta per la futura accoglienza sarà quella di fare i «guardiani del pollaio», snaturando la natura dell’accoglienza stessa, e distruggendo di fatto quanto costruito sin qui, loro saranno i primi a rifiutare questo modus operandi.