Cosa perdiamo se di fronte al recupero dei corpi, dei morti del Mediterraneo, la domanda diventa “Quanto ci costa”? Se lo chiede Pietro De Soldà a Tutta la città ne parla, trasmissione di Radio3, spiegando che “oggi è successo qualcosa di importante, su cui vale la pena riflettere”.
Ieri, 29 giugno, è stato avviato il recupero del peschereccio Ivory, che il 18 aprile 2015 naufragò nel canale di Sicilia, al largo delle coste libiche, e il conseguente riconoscimento delle 700 salme: tante, se non di più, furono le persone, tutte provenienti da diversi paesi dell’Africa subshariana, che persero la vita in quella strage. Settecento persone inabissate nel cimitero liquido che è diventato il Mar Mediterraneo.
Del recupero ha dato notizia Gigi Riva, durante la rassegna stampa curata da Radio Tre, Prima Pagina. “Come si è arrivati a autorizzare questo recupero? E quanto costa?” chiede Marco telefonando in studio; “Il recupero è offensivo nei riguardi degli italiani in difficoltà, le sepolture vanno fatte da sempre in mare” scrive Rosy via sms, mentre Mariachiara commenta: “Non ci sono soldi per la sanità, per le pensioni, per la manutenzione delle strade, ma poi ci beiamo di aver recuperato il relitto di un barcone naufragato. Quanto è costata questa scellerata scelta demagogica?”; e Franco, rispondendo a Gigi Riva che parla di un lato umanitario dell’operazione: “E’ più offensivo e imbarazzante lei, che fa l’umanista ma non deve pagare di persona in termini di tagli drastici al welfare, come invece gli italiani (ancora) vivi”. Molti sostengono con forza la necessità di procedere alla “sepoltura in mare, antica tradizione”. Questi alcuni dei commenti degli ascoltatori di Prima Pagina, che via sms, mail, whatsapp, telefono, sottolineano i costi inutili dell’operazione, “come se fosse innanzitutto questo il problema”, evidenzia De Soldà.
No, non è questo, il problema. La questione nodale, piuttosto, è che in un solo giorno sono morte, l’anno scorso, più di 700 persone. Il problema è che, solo dall’inizio del 2016, le persone decedute nel tentativo di arrivare in Europa via mare dall’Africa o dalla Turchia sono 2510. Sono persone morte non in una guerra, bensì in un viaggio, le cui caratteristiche noi, occidentali, italiani, non possiamo nemmeno immaginare: se non, forse, andando indietro, in un tempo in cui a emigrare su mezzi di fortuna, sperando in un avvenire migliore per noi e i nostri figli, eravamo noi.
“Queste persone non sono state considerate ‘proprie’ in vita, nel senso che non hanno ricevuto l’accoglienza che probabilmente avrebbe salvato loro la vita, e non vengono accolte neppure come morti, come salme.. una considerazione veramente triste”, commenta Umberto Curi intervistato nel corso della trasmissione, aggiungendo che, in un’ottica puramente economica, si sarebbero potuti utilizzare i soldi spesi per il recupero della barca per accogliere queste persone in vita. “Un’operazione importantissima dal punto di vista umano” la considera invece il contrammiraglio Pezzuti, parlando di un doveroso gesto, anche nei confronti delle famiglie delle vittime di questa ennesima strage.
Cosa perdiamo se di fronte a situazioni come questa ci domandiamo “quanto costa”?, si chiede De Soldà. Ci sembra che la posta in gioco sia decisamente alta: di pietas, ha parlato Gigi Riva nel corso di Prima Pagina. Di quel senso di rispetto che si ha – o si dovrebbe avere – nei confronti del proprio prossimo. Da tempo stiamo assistendo a un processo di normalizzazione del razzismo e delle discriminazioni, a un imbarbarimento sociale e culturale in cui l’etica, la morale, il senso di umanità sembrano essere messi al bando, quasi fossero caratteristiche di cui doversi vergognare. Un imbarbarimento che sembra accompagnare, sempre di più, le costanti stragi di migranti: mentre scriviamo, e mentre nel porto siciliano di Augusta arriva il relitto della nave Ivory, dieci donne hanno perso la vita nel rovesciamento, avvenuto a circa venti miglia circa dalla Libia, del gommone su cui viaggiavano insieme ad altre 107 persone. Una strage, ennesima, che ci riporta ancora una volta alla necessità di agire in modo urgente.
“Riusciamo effettivamente – si chiede Curi intervistato da De Soldà- a impegnarci per un’accoglienza che sia all’altezza della civiltà che dovremmo incarnare, o i ragionamenti di carattere economico nascondono una riluttanza radicale a misurarsi con l’Altro?”
Ce lo chiediamo anche noi.
La puntata di Tutta la città ne parla condotta da Pietro De Soldà, con gli interventi Umberto Curi, professore di Storia della filosofia, Giorgia Mirto, ricercatrice che da anni lavora all’identificazione dei morti nel Canale di Sicilia, Alessandro Leogrande, scrittore e giornalista, Max Hirzel, reporter e attivista, Paolo Pezzutti, contrammiraglio e comandante del Comando Subacqueo incursori può essere ascoltata qui.
Serena Chiodo