“Associazione a delinquere con finalità di terrorismo e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale aggravata dal negazionismo”: è l’accusa che ha portato pochi giorni fa all’arresto di un uomo di ventidue anni a Genova. Sembra che avesse tra i suoi obiettivi la costituzione di una cellula italiana di “Atomwaffen”, un movimento neonazista e suprematista statunitense. L’indagine ha coinvolto altre 12 persone residenti in diverse città italiane. Una rete, sia pure di recente istituzione, che stava cercando di darsi un’organizzazione militare. Ebrei, omosessuali e persone nere erano stati prescelti come bersagli principali contro i quali scagliarsi. Tant’è che Luca Traini, autore del raid di Macerata del 3 febbraio 2018, sarebbe stato considerato uno degli esempi da seguire.
Una settimana fa, invece, un altro uomo di 53 anni residente a Vigonza, provincia di Padova, è stato iscritto nel registro degli indagati con l’accusa di propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, a seguito della segnalazione da parte di un utente di Facebook di numerosi post razzisti pubblicati sul suo profilo.
Sono due notizie rimaste in secondo piano, ma segnalano che è importante mantenere costante l’attenzione sul radicamento infido che la cultura della violenza è capace di avere, online e offline, nelle parole e nei fatti. E magari fare in modo di evitare che il dibattito pubblico, soprattutto politico, lo alimenti. Tanto più dovremmo prestare attenzione in una fase di crisi profonda come questa.
I nuovi dati di Odihr
“Un discorso intollerante nei media o da parte dei politici può portare a un aumento dei sentimenti razzisti verso i migranti e altre minoranze, anche sotto forma di capro espiatorio in tempi di crisi economica.” Lo scrive del resto a chiare lettere persino l’Ufficio per le Istituzioni Democratiche e i Diritti Umani dell’OSCE, introducendo la sezione dell’ultimo rapporto annuale sui “reati di odio” dedicata ai reati compiuti sulla base di un movente xenofobo o razzista. I dati si riferiscono al 2019.
Il report, disponibile qui, https://hatecrime.osce.org/ è stato rilanciato alcuni giorni fa, accompagnato da alcune infografiche che sintetizzano lo stato dell’arte.
Con riferimento al 2019, 39 stati hanno fornito dati ufficiali, cui si aggiungono informazioni e dati riferiti dalle organizzazioni della società civile di 36 paesi. Sono stati segnalati complessivamente 3.207 reati “di odio” da parte delle autorità nazionali e 3.757 casi da parte della società civile.
Secondo la definizione proposta da Odihr, i reati di odio sono reati ordinari (ovvero comportamenti sanzionabili penalmente come un furto, un’aggressione, una rapina ecc.) compiuti sulla base di un movente discriminatorio. Tra i moventi discriminatori monitorati nel rapporto (che variano da paese a paese a seconda della legislazione nazionale, dei sistemi di classificazione e di rilevazione dei dati ufficiali) sono compresi oltre alla xenofobia e al razzismo, il movente religioso, il genere, l’orientamento e l’identità di genere, l’antiziganismo e la disabilità.
I dati presentati non possono essere considerati rappresentativi da un punto di vista statistico né possono essere usati per comparare la situazione tra i diversi paesi: una grandissima parte di reati discriminatori rimane infatti invisibile perché non viene denunciata, spiega lo stesso Ufficio che cura il rapporto. E l’estrema differenziazione dei sistemi nazionali di prevenzione e di contrasto delle discriminazioni di rilievo penale ostacola di molto la possibilità di analisi comparative.
E tuttavia, è utile osservare che anche nel 2019 il movente xenofobo e razzista sembra quello più ricorrente in quasi tutti i paesi che rendono disponibili le informazioni sulla tipologia del movente dei reati denunciati/segnalati alle forze di polizia.
I dati forniti dall’Italia
I dati ufficiali per l’Italia sono forniti a Odihr combinando i dati del “Sistema di Indagine – SDI” (estratti dal CED interforze) che attengono ai reati con finalità discriminatorie che hanno “copertura normativa” (ossia relativi a “razza”, etnia, nazionalità, religione e appartenenza a minoranze linguistiche nazionali), con le segnalazioni di OSCAD – Osservatorio per la Sicurezza Contro gli Atti Discriminatori – che riguardano gli ambiti discriminatori privi di specifica copertura normativa (relativi ad orientamento sessuale ed identità di genere). Per la disabilità, sono combinati i dati SDI, relativi alla contestazione della circostanza aggravante di cui all’art. 36 L. 104/1992, con le segnalazioni OSCAD concernenti lo specifico ambito discriminatorio.
Nel 2019 i reati discriminatori documentati dalle forze dell’ordine sono stati complessivamente 1.119, di cui 805 di matrice xenofoba e razzista, 107 riferiti al genere o all’orientamento sessuale e 207 allo stato di disabilità.
La disaggregazione per tipologia di movente dei reati discriminatori denunciati o segnalati alle forze di Polizia evidenzia dunque, ancora una volta, nel nostro paese la netta prevalenza dei reati di matrice razzista e xenofoba, che rappresentano il 71,9% del totale dei reati cosiddetti “di odio”.
Tra i reati denunciati di matrice xenofoba e razzista nel 2019, i casi di incitamento alla violenza (271), le profanazioni di tombe (152), le violenze fisiche (104) e i comportamenti minacciosi (79) sono quelli più numerosi.
Attenzione dunque a considerare il raid di Macerata solo come una lontana e irripetibile “eccezione”.
Consulta qui il rapporto sui reati di odio di Odihr 2019 https://hatecrime.osce.org/
Questo articolo aggiorna i dati ancora provvisori forniti nel nostro quinto libro bianco sul razzismo pubblicato nel luglio 2020.