Di razzismo negli stadi ne abbiamo parlato spesso. Anche di recente, dopo i cori a Cagliari contro il centravanti dell’Inter e della nazionale belga Lukaku e la quasi giustificazione di quei cori da parte di un gruppo della tifoseria interista. Oggi abbiamo due notizie quasi buone. La prima riguarda il Daspo decennale per 38 tifosi della Juventus arrestati il 15 settembre.
Per queste persone accusate a vario titolo di associazione a delinquere, estorsione aggravata, autoriciclaggio e violenza privata ci sarà naturalmente un processo. Ma intanto gli si vieta di entrare allo stadio. I reati contestati infatti non sono l’unico problema: nelle sedi degli ultrà juventini sono stati trovati bandiere e striscioni con simboli nazisti e fascisti, bassorilievi che rappresentano Benito Mussolini, calendari e quadri del Duce. Un’organizzazione probabilmente criminale con una matrice fascista e razzista che usava i cori razzisti come strumento di ricatto nei confronti della società.
L’altra notizia riguarda la Roma e un suo tifoso a cui piace diffondere insulti razzisti attraverso gli account social. Gli ultimi sono rivolti al difensore della squadra della capitale Juan Jesus, a cui si da dello “scimmione negro” e altro. Il calciatore brasiliano ha fotografato gli insulti e li ha rilanciati sul suo canale Instagram aggiungendo, “sapere cosa fare”. La società ha risposto presto e bene: il tifoso non verrà più ammesso allo stadio e gli insulti sono stati segnalati alla polizia postale. In risposta a questo tweet molte società di calcio importanti e di categorie minori hanno elogiato il comportamento della As Roma. Così come diversi calciatori importanti (un difensore del Napoli Koulibaly, ad esempio, anche lui vittima dei cori razzisti in passato).
Naturalmente il gestore dell’account, dopo aver scoperto di essere diventato un caso ha scritto che il suo account è stato hackerato. Probabilmente non ricordava di aver scritto insulti simili anche in passato. Naturalmente sono saltati fuori e la tesi dell’hackeraggio si mostra per quel che è: una balla.
Cosa ci dicono queste vicende?
La prima cosa da sottolineare è il protagonismo dei calciatori: insultati e non prendono la parola. In altri campionati non si tratta di una novità, in Italia sì. È un grande passo avanti: i protagonisti ci mettono la faccia. Il secondo aspetto riguarda il comportamento delle società e quello delle autorità del calcio: qui la differenza c’è. Il giudice ha derubricato gli insulti a Lukaku a Cagliari e la società non è stata punita perché, come ha scritto il giudice: “Nelle fasi antecedenti il calcio di rigore, e solo in quell’occasione si sono levati cori, urla e fischi nei confronti di Lukaku” e “sono stati percepiti alcuni versi da parte di singoli spettatori che però non sono stati intesi dal personale di servizio, né dai collaboratori della Procura Federale, come discriminatori a causa dei fischi e delle urla sopra menzionati”.
Insomma, secondo la giustizia sportiva i “buuu” non erano razzisti. Il comportamento delle autorità sportive tende a essere sempre quello per cui al razzismo si risponde con iniziative dimostrative e mediatiche, ma non si toccano equilibri, per paura di reazioni da parte dei tifosi.
Diverso sembra l’atteggiamento della Premier League, che ha prodotto questo video e consente di denunciare episodi di razzismo attraverso una app e con un modulo sul suo sito.
Più coraggiose sembrano essere le società che hanno cominciato a denunciare sia l’intreccio tra criminalità, destra razzista e tifo organizzato, che, come la Roma, a denunciare in maniera inequivoca il razzismo. È un passo avanti. I Daspo infatti non bastano: insultare qualcuno per il colore della pelle deve essere qualcosa di cui vergognarsi, non solo di cui avere paura perché poi non si può più andare allo stadio.