Ve la ricordate la famosa e altrettanto infelice frase pronunciata da Carlo Tavecchio nel 2014 (“Noi invece diciamo che ‘Opti Pobà’ è venuto qua che prima mangiava le banane e adesso gioca titolare nella Lazio e va bene così…”)?
Bene. A distanza di ben 5 anni di tentate lotte contro i pregiudizi e le discriminazioni razziste nello sport, ed in modo particolare nel mondo del calcio, siamo ancora allo stesso punto di partenza.
Pochi giorni fa, Claudio Lotito, presidente della Lazio, avrebbe dichiarato ai giornalisti: “Ricordo che quando ero piccolo, spesso a chi non era di colore, che aveva la pelle normale, bianca, gli facevano ‘buu’ per scoraggiarlo a segnare il gol davanti al portiere” (qui il video delle dichiarazioni).
E paradossalmente questo è accaduto nel giorno in cui la Figc ha cancellato per sempre la “responsabilità oggettiva” (fino ad ora ciò che accadeva nello stadio comportava una sanzione diretta al club, ma ora diventa una responsabilità dei singoli) e ha riscritto le linee guida per l’adozione di modelli di gestione e controllo idonei a prevenire atti contrari ai principi di lealtà, correttezza e probità, compresi quelli di natura violenta e razzista.
L’obiettivo dei grandi del calcio è quello di isolare violenti e razzisti, individuarli e allo stesso tempo evitare di incappare in multe pesantissime del giudice sportivo a causa di cori razzisti, striscioni o atti che vanno contro le norme di giustizia sportiva. Una volta rispettati gli standard richiesti, le società potranno avere il riconoscimento di esimenti e attenuanti della cosiddetta responsabilità oggettiva da parte della giustizia sportiva.
Con la nuova norma, quindi, la sanzione scatterà solo nel caso in cui il club non abbia fatto tutto il possibile per evitare l’accaduto. Le società non solo dovranno individuare i responsabili di eventuali violazioni, ma dovranno anche adottare un codice etico, monitorare costantemente la situazione, segnalando casi a rischio e intervenire anche in modo autonomo per garantire la sicurezza e la correttezza dei comportamenti dei propri tifosi.
Altra novità introdotta riguarda la facoltà del giudice sportivo di intervenire prendendo in esame documenti audio-video successivamente alla partita, anche senza che sia stata superata la soglia di percezione nello stadio.
Anche la Lega Calcio di serie A ha presentato un suo piano di azione di sensibilizzazione che prevede venti calciatori scelti come “ambassador” contro il razzismo, premi ai cori migliori, ed infine una implementazione in tutti gli stadi del numero di telecamere (la Juventus sembra che l’abbia già fatto). L’amministratore delegato della Lega di Serie A ha persino annunciato il ricorso all’innovazione tecnologica per facilitare il riconoscimento degli autori di atti di discriminazione e di violenze razziste. Il “modello di riferimento” sarebbe quello del riconoscimento facciale che consente di identificare o verificare l’identità di una persona a partire da una o più immagini che la ritraggono. Questo sistema sarebbe già stato adottato “con successo” a Udine in occasione delle finali degli Europei 2019 (qui uno speciale curato da Sky Sport24, “Primo Stadio, da dove riparte la sicurezza negli stadi italiani”).
Ma al Viminale, da parte di alcuni esperti, sono state manifestate forti perplessità che il riconoscimento facciale possa davvero essere utile in caso di razzismo. I dubbi sono anche i nostri.
Ma le azioni contro il razzismo nello sport non finiscono qui. Di ieri, la notizia, lanciata dal direttore dell’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni razziali (Unar) della presidenza del Consiglio dei Ministri, Triantafillos Loukarelis, della creazione di un “osservatorio contro le discriminazioni razziali nello sport”, con particolare attenzione agli stadi di calcio, da far partire entro il 21 marzo 2020, giornata mondiale contro razzismo.
E ancora. La UEFA ha aperto un procedimento “per condotta razzista” (numerosi saluti nazisti) da parte dei tifosi della Lazio durante l’ultimo incontro di Europa League (del 3 ottobre) contro i francesi del Rennes, vinto per 2-1 dai biancocelesti (Comportamento razzista – Art. 14 del Regolamento Disciplinare UEFA (DR)).
Inoltre, il presidente federale Gabriele Gravina e il ministro dello sport Vincenzo Spadafora incontreranno a breve il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese per trovare una soluzione che possa integrare il lavoro dei club con quello degli addetti alla sicurezza (e anche qui ci sarebbe qualcosa di altalenante e poco chiaro, vedasi le lamentele riguardo alle norme discriminatorie proprio a riguardo degli steward stranieri a causa del Decreto Salvini).
Pugno duro e contrasto determinato, potremmo dire.
Eppure, malgrado tutto l’impegno profuso, resta ancora tanto lavoro da fare. E questo su più fronti. Dentro ma anche fuori dagli stadi. A tal proposito si veda il “caso mondiale” dei cori razzisti rivolti dai tifosi dell’Atalanta contro il giocatore della Fiorentina Dalbert. A causa di quei buu razzisti, l’Italia è finita sui giornali di tutto il mondo, con il presidente della Fifa Infantino arrabbiatissimo e una raffica di commenti di personaggi illustri e vittime di razzismo nel calcio a corollario. Ma quei cori razzisti, tuttavia, non sono stati incredibilmente rilevati dagli ispettori federali. E così il giudice sportivo ha disposto un supplemento d’indagine chiamando a testimoniare lo stesso Dalbert. Ieri il responso. Tutto il polverone si è risolto soltanto con una multa di 10 mila euro all’Atalanta. Una sanzione “all’acqua di rose” che risuona quasi come una beffa, se letta, appunto, alla luce di quanto è stato detto e fatto in questi ultimi giorni.
E ancora ci chiediamo come si possa sradicare il razzismo negli stadi se il vice Presidente del Senato, Ignazio La Russa, a proposito del calciatore nero Lukaku (e di riflesso anche di Icardi), ha scritto su Facebook pochi giorni fa: “Direi che la morale della partita è che l’Inter ha cambiato un grande centravanti col pisello confuso con un centravanti confuso dal pisello grande”. Un’affermazione carica di sessismo e di razzismo che non lascia alcuno spazio alle giustificazioni.
Allora, cercando di tirare le somme, possiamo rilevare che da un lato ci sono società (la Roma ha appena “daspato” per la prima volta a vita un suo tifoso per gli insulti razzisti a Juan Jesus), calciatori, arbitri e soggetti che si battono contro il razzismo senza se e senza ma. Dall’altro, ci sono ancora troppe zone d’ombra e molti comportamenti che vanno in direzione esattamente contraria (basti pensare alla discutibile presa di posizione del Verona Calcio che ha difeso i propri tifosi dall’accusa di razzismo nei confronti di Franck Kessie).
Sarà idoneo l’utilizzo della tecnologia del “riconoscimento facciale” a fermare questa piaga che infetta ogni livello di prestazione sportiva? Secondo noi no. Da un lato anche l’intelligenza artificiale può fare errori che in questo caso potrebbero avere conseguenze gravi sulle persone, dall’altro il ricorso a queste metodologie comporta numerosi rischi per la tutela della privacy. Decisamente più convincente è invece la scelta di agire sul piano dell’informazione e della sensibilizzazione: il lavoro educativo e culturale richiede un impegno prolungato e ha effetti sul lungo periodo, ma è difficile immaginare di poterne fare a meno. Fuori e dentro il campo da gioco.