“Come in tutte le scuole, non di più”. Reagisce così il preside della scuola Chateaubriand, uno dei più prestigiosi licei francesi all’estero, alle dichiarazioni dell’ex moglie del console francese a Roma, secondo la quale nel liceo insulti razzisti, saluti romani e bullismo sarebbero particolarmente diffusi. “Da quattro mesi tre compagni di classe italiani di un anno più grandi lo colpivano a schiaffi e calci, insultandolo – ha denunciato la donna all’agenzia stampa Ansa riferendosi al figlio 13enne, che ha lasciato l’istituto – Ha subito danni psicologici accertati. E ci sono molti altri casi simili”. Secondo la donna, la scuola non avrebbe fatto abbastanza per contrastare questa situazione, “se non costringere i tre ragazzini a un compito sul bullismo”. Un’accusa rigettata dal preside: “Abbiamo formato una commissione interna sul caso con una psicologa esterna. All’unanimità ha concluso che si è trattato di episodi di intimidazione fisica e non di ‘harcelement’ (persecuzione sistematica). I tre sono stati sospesi per mezza giornata e abbiamo fatto incontri formativi in tutte le classi”.
La situazione, però, sarebbe ancora più grave: “Il razzismo e la violenza sono pratica quotidiana allo Chateaubriand. ‘Brutto negro’ e ‘Viva il duce’ sono espressioni comuni” secondo la moglie dell’ex console francese: “l’ambasciata francese a Roma sapeva bene quello che succedeva, i casi di bullismo, gli insulti razzisti sui ragazzi di colore, ma ha messo tutto a tacere assieme ai vertici dell’istruzione a Parigi”.
“Ogni volta che un caso di violenza, razzismo, bullismo o droga si presenta e può danneggiare l’immagine dello Chateaubriand, la direzione lo soffoca, con la complicità dell’ambasciata e dell’Aefe (Agenzia per l’insegnamento francese all’estero, con sede a Parigi)”, chiarisce ancora la donna. Anche altri genitori sembrano sostenere che “il fenomeno è molto più diffuso, molti non denunciano per paura e la scuola fa troppo poco”.
Proprio l’accusa al preside di non aver fatto abbastanza avrebbe portato, a fine luglio, alla nascita dell’Unione dei genitori dello Chateaubriand (Upel), a seguito della scissione dalla più antica Associazione dei genitori (Ape).
Il preside rigetta le accuse: “E’ falso. I genitori e le associazioni sono in competizione tra loro per questioni di potere e di protagonismo”, dichiara. E ricorda alcuni casi di razzismo e bullismo: uno ai danni di un alunno di origini ebraiche, per cui “convocammo i familiari degli studenti coinvolti, i genitori, i compagni di classe e gli insegnanti per discuterne insieme”, uno di “cyber bullismo tra studentesse”, mentre per quanto riguarda l’uso di slogan nazi-fascisti, il preside spiega di aver invitato a scuola un uomo sopravvissuto dei campi di sterminio. “Lo scorso anno ci sono stati 3-4 casi come quello del figlio del console, uno di razzismo, uno di uso di slogan fascisti. Siamo sempre intervenuti con l’educazione”, afferma Lust.
L’ambasciata di Francia ha fatto sapere di non volere commentare “il caso specifico”, ritenendo che lo Chateaubriand abbia preso “misure adeguate”.
La situazione presente allo Chateaubriand dovrà essere chiarita.
Ma il problema della diffusione del bullismo violento, spesso intrecciato e sovrapposto a comportamenti razzisti, emerge con evidenza da questa storia. Quel “come in tutte le scuole” pronunciato dal Preside dovrebbe far riflettere: mostra la normalità con cui vengono vissute queste situazioni. Sono moltissimi gli esempi di sottovalutazione e banalizzazione degli insulti razzisti – definiti spesso battute di pessimo gusto -, o di minimizzazione di violenze fisiche. Riconoscere e denunciare la gravità di episodi come questi è ciò che spetta a chi ha la responsabilità di dirigere un’istituzione scolastica. Prendere posizione è necessario sempre. Lo è in particolare quando il razzismo coinvolge i più giovani nei luoghi che dovrebbero essere spazi di incontro, crescita e formazione.