“Razionalizzare i servizi di accoglienza e ridurne i costi”: questi gli obiettivi dichiarati nella nuova direttiva del Ministro dell’Interno diffusa ieri. Più che una razionalizzazione, quello che viene profilato è uno smantellamento del sistema di accoglienza pubblico e il ritorno a un modello (si fa per dire) che risulta fallimentare in partenza proprio rispetto agli obiettivi perseguiti.
La campagna pluriennale condotta per delegittimare il sistema di accoglienza pubblico diffondendo informazioni non corrette (i “38 euro al giorno ai migranti” che ricevono in realtà un massimo di 2,50 euro al giorno per le proprie spese personali) e generalizzanti (“l’accoglienza=solo business” che ignora le centinaia di esperienze di buona accoglienza diffusa in tutto il paese) trova oggi la sua traduzione in un atto amministrativo.
Gli effetti saranno però probabilmente molto diversi da quelli annunciati.
- Molte inchieste sociali che hanno cercato di capire le cause delle storture del sistema di accoglienza hanno evidenziato che il rischio di un utilizzo improprio di risorse pubbliche è maggiore quando l’accoglienza viene predisposta in emergenza e su grandi numeri: due esempi fra tutti, il caso del Cara di Mineo e l’inchiesta su Mafia capitale. La direttiva glissa sapientemente concentrandosi sui servizi di inclusione sociale che prevede di riservare agli ospiti “delle strutture di secondo livello”, titolari di una forma di protezione.
- Come osserva giustamente Arci in una nota stampa, data la lunghezza attuale delle procedure di esame delle domande di protezione e la persistente concentrazione dei richiedenti asilo nel sistema di accoglienza straordinario (dei Cas) allestito dalle Prefetture, tale scelta farà sì che migliaia di persone non possano frequentare corsi di lingua italiana, corsi di formazione o tirocini per lungo tempo con spreco di tempo per loro e di denaro per l’erario. Una razionalizzazione del sistema di accoglienza richiederebbe esattamente il contrario: maggiori risorse e investimenti per interventi di inclusione sociale al fine di accelerare il più possibile il raggiungimento dell’autonomia delle persone e il loro inserimento di successo nella società di accoglienza (su cui si è investito già sin troppo poco fino ad oggi).
- Se la speranza, come lasciano intendere la circolare diffusa il 4 luglio scorso e la nota della Presidente della Commissione nazionale per il diritto di asilo del 16 luglio, è quella di accelerare le procedure limitando fortemente il riconoscimento di una forma di protezione per rimpatriare il maggior numero di persone possibile, osserviamo che per fortuna è ancora possibile fare ricorso contro il diniego di protezione (nonostante la tutela giurisdizionale dei richiedenti asilo sia stata indebolita dal Governo precedente) e che dare effettiva esecuzione ai rimpatri è molto meno semplice di quanto non sembri. Il che non fa che esporre le persone che ricevono una risposta di diniego ai rischi di una permanenza senza documenti sul territorio, a una maggiore vulnerabilità e a più alte probabilità di sfruttamento sul lavoro.
- Limitare gli interventi di inclusione sociale significa per altro fare il contrario di quanto richiesto da quelle comunità locali che in questi anni hanno organizzato proteste (più o meno spontanee) contro la presenza di progetti di accoglienza sul proprio territorio stigmatizzando richiedenti asilo e rifugiati come “nullafacenti perditempo”. A meno che il progetto non sia proprio quello di elevare il livello di conflittualità locale per fini che non hanno niente a che vedere né con le vite delle persone accolte né con la “tranquillità delle comunità locali”.
- Infine di che cosa stiamo parlando? Le barriere disumane erette in mezzo al mare sino al deserto dei confini a Sud della Libia, rendono sempre più difficile arrivare in Europa: 18.048 persone approdate in Italia dalla Libia sino ad oggi rispetto alle circa 93mila del 2017.
- Complice un’Europa sempre più divisa dagli interessi nazionali, il vero obiettivo della direttiva diffusa ieri sembra quello di accogliere meno e male: i richiedenti asilo sono ridotti a numeri e i loro diritti in “costi” da tagliare.