Secondo l’ultimo rapporto ‘Viaggi Disperati’, pubblicato ieri dall’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, in media sei persone hanno perso la vita nel Mediterraneo ogni giorno. Lungo la rotta Libia-Europa, si è passati da un decesso ogni 38 arrivi nel 2017 a uno ogni 14 l’anno scorso. L’Unhcr stima in 2.275 il totale delle persone morte o disperse durante la traversata nel 2018. Nonostante il calo considerevole degli arrivi sulle coste europee. Ma non si muore solo in mare. Infatti sulle rotte terrestri (Turchia-Grecia, Francia-Italia, Balcani occidentali), i decessi di immigrati e rifugiati sono quasi raddoppiati: 136 contro i 75 dell’anno precedente. Il rapporto rivela inoltre che l’85% di chi parte dalla Libia viene riportato indietro dalla guardia costiera e rinchiuso in carcere in condizioni spaventose. Nel rapporto si sottolinea la drammaticità dei viaggi affrontati da gran parte dei profughi, maltrattati, esposti a violenze, torture, stupri e aggressioni sessuali, minacciati e sequestrati a scopo d’estorsione. I trafficanti di esseri umani nel tentativo di aggirare la politica italiana dei “porti chiusi” sembrano aver cambiato strategia e rotta. E così, rivela il rapporto Unhcr, per la prima volta in anni recenti, la Spagna è divenuta il principale punto d’ingresso in Europa con 8.000 arrivi via terra (attraverso le enclavi di Ceuta e Melilla) e altri 54.800 via mare. Con il conseguente incremento del numero delle vittime nel Mediterraneo occidentale, che è quasi quadruplicato, da 202 nel 2017 a 777 lo scorso anno. In Italia, invece, sono giunte 23.400 persone, 32.500 in Grecia, per la maggior parte attraverso il confine terrestre con la Turchia. Riguardo gli Stati di provenienza, la maggioranza dei migranti arrivati in Spagna sono partiti: da Marocco (13.000), Guinea (13.000), Mali (10.300), Algeria (5.800), Costa D’Avorio (5.300); quelli arrivati in Grecia: da Afghanistan (9.000), Siria (7.900), Iraq (5.900), Repubblica democratica del Congo (1.800), Palestina (1.600); quelli arrivati in Italia: da Tunisia (5.200) Eritrea (3.300), Iraq (1.700), Sudan (1,600), Pakistan (1600). L’Unhcr ritiene che tali flussi verso l’Europa continueranno immutati nel 2019 “considerato che le cause ultime che generano fughe e movimenti migratori – quali le violazioni di diritti umani, i conflitti o la povertà – restano irrisolte”. Per questo rivolge un appello agli Stati perché smettano di respingere le persone senza permettere loro di richiedere asilo o valutare se necessitino di protezione internazionale o di assistenza umanitaria e incrementino gli sforzi per proteggere i minori, accompagnati o soli, e fornire sostegno a chi ha subito abusi e violenza sessuale, e s’impegnino a trovare “vie sicure e legali come alternativa a questi viaggi pericolosi”. Da qui l’urgenza di dare, nello spirito di “una maggiore condivisione di responsabilità”, “una risposta regionale coordinata”, con aumentata “capacità di soccorso” e “punti di sbarco precisi e prevedibili”, maggiore “solidarietà e sostegno per quei Paesi nei quali arriva la maggior parte di rifugiati e migranti” e “misure più severe contro coloro che si macchiano di crimini ai danni di rifugiati e migranti”. “Salvare vite umane non costituisce una scelta, non rappresenta una questione politica ma un imperativo primordiale”, ammonisce Filippo Grandi, l’Alto Commissario dell’Onu per i rifugiati, invitando ad adottare “un approccio a lungo termine basato sulla cooperazione regionale, che dia priorità alla vita e alla dignità di ogni essere umano”.
La versione integrale del rapporto in italiano è disponibile qui.
Il video della missione dello scrittore Giuseppe Catozzella, che insieme a UNHCR ha visitato il confine con la Francia dove migranti e rifugiati continuano i loro viaggi disperati, è disponibile qui.