Nella notte del 21 gennaio, a Trepuzzi, nel Salento, un giovane originario della Sierra Leone è vittima di un raid razzista. Alhayi Turay, 22 anni, da otto mesi vive nel paese salentino dove lavora come custode degli impianti sportivi, e già nell’ottobre scorso, insieme con due connazionali, era stato vittima di un altro episodio di razzismo mentre si trovava in via Kennedy, sempre a Trepuzzi. L’altra notte, il giovane stava dormendo, quando è stato svegliato da alcuni rumori provenienti dall’esterno della sua abitazione. Qualcuno stava battendo forte contro la porta. Uno dei giovani aggressori si era già introdotto nella sua abitazione, mentre gli altri, invece, erano rimasti fuori. Alhayi Turay è stato prima insultato con pesanti frasi razziste (“bastardo di un negro!”, “Vai via negro… questa non è casa tua… vattene in Africa”), poi colpito con una sedia, sino a quando è riuscito a scappare dalla finestra, rifugiandosi in un boschetto a pochi metri da casa sua. “Hanno agito a volto scoperto, proferendo le frasi in un tipico accento del posto”, ha riportato la stampa locale.
L’uomo si è rivolto ai Carabinieri per sporgere denuncia contro ignoti solo in un secondo momento, dopo essersi recato presso l’ospedale di Campi Salentina per farsi medicare alla spalla sinistra. Per le escoriazioni e contusioni riportate, i medici lo hanno giudicato guaribile in una ventina di giorni. Gli aggressori sono stati rintracciati in pochi giorni. Si tratta di C.D.B, 33enne, e di D.C., 35enne, entrambi di Trepuzzi, deferiti in stato di libertà con l’accusa di lesioni personali, minaccia, danneggiamento e violazione di domicilio. E come spesso accade risulta assente l’aggravante per razzismo.
Secondo la ricostruzione del Carabinieri, i due, dopo avere sfondato la porta d’ingresso dell’abitazione del giovane migrante, lo hanno picchiato e minacciato, distruggendo e danneggiando gli oggetti che incontravano sul loro cammino. Alquanto “stravagante”, oltre che futile il movente. Secondo i Carabinieri, il giovane, presidente dell’Associazione che gestisce gli impianti sportivi del paese, si trovava in casa sua. Nella confinante pizzeria, si stava svolgendo una festa di compleanno, quando alcuni bambini sono usciti e hanno citofonato al campanello di casa del migrante, il quale si sarebbe alzato dal letto e affacciato “in tenuta intima”, non potendo neanche lontanamente immaginare chi ci fosse dietro la porta. A quel punto i bambini sono scappati. Sono rientrati in pizzeria e hanno raccontato l’accaduto. I genitori hanno “pensato bene” di raggiungere casa di Alhayi e di “farsi giustizia” da soli. Per poi fuggire vigliaccamente, mentre la vittima ha allertato amici e forze dell’ordine.
Prima ancora che fossero identificati gli autori, era stata dura la presa di posizione del sindaco Giuseppe Taurino e dell’intera comunità cittadina. “Un fatto grave che non può rimanere impunito e che deve scuotere le coscienze della nostra comunità” ha detto il primo cittadino, “il messaggio delle istituzioni, della scuola, del mondo cattolico, dei cittadini deve andare verso una sola ed unica direzione di condanna. Non possiamo permettere a chi fomenta l’odio razziale di poter macchiare il senso civico della nostra comunità”.
Dal canto suo, uno dei due aggressori, tramite la penna di un piccolo quotidiano locale, tenta di smorzare i toni accesissimi del dibattito. Il 33enne ha dichiarato: “Non sapevamo che affianco risiedessero persone di colore. Erano in quattro tutti ammassati in una stanza. In quei momenti mia moglie e mia cugina hanno raggiunto il bagno (all’esterno della pizzeria) con le rispettive figlie quando davanti a loro sono comparsi quattro ragazzi di colore usciti dalla stanza del custode. Tutti e quattro in mutande”.
Storia che non collima con quanto ricostruito anche dalle stesse forze dell’ordine, grazie alle numerose testimonianze: nella casa vi era una sola persona, ovvero la vittima della spedizione punitiva, il quale, visto che si trovava in casa propria era forse anche libero di vestire come meglio credeva. Poi, su come potessero essere “tutti e quattro in mutande” a gennaio pare assai curioso.
Ma non pago prosegue giustificandosi: “La cosa mi dà molto fastidio. In particolare di essere tacciato come un razzista. Io che, con la mia ditta, ho fatto lavorare tanti ragazzi di colore pagandoli e dando loro da mangiare a differenza della politica”, annunciando una contro-denuncia “per tutelare la propria immagine e la propria onorabilità”.
Per fortuna, tante le attestazioni di solidarietà verso la giovane vittima, che se la caverà, malgrado la grossa difficoltà di superare il trauma e la paura.