“Volevo attirare l’attenzione del mio ragazzo”. E’ quanto ha confessato la studentessa quindicenne di Bolzano, quando ha ammesso di aver inventato di sana pianta la vicenda dell’aggressione sessuale ai suoi danni, che lei stessa aveva denunciato il 6 maggio scorso.
Il fatto, secondo quanto raccontato in un primo momento dalla giovane, si era consumato lungo la pista ciclabile del lungo Talvera, mentre tornava da scuola in bicicletta e si dirigeva verso casa. La ragazza aveva raccontato di essere stata aggredita da “due persone di colore”, quasi sicuramente “di origine africana, uno con i capelli rasta”, e di essere stata poi violentata da uno dei due. Avrebbe detto di essere stata prima colpita al volto da un pugno e, successivamente, condotta dietro dei cespugli vicino all’argine del fiume. Dopo la violenza, sarebbe stata soccorsa in stato di choc da una passante che, sentiti i lamenti, avrebbe chiamato l’ambulanza. La ragazza percorreva tutti i giorni quella strada: un luogo in cui c’erano già stati aggressioni e abusi sessuali. L’ultima volta era successo circa due anni fa, quando un minorenne nigeriano aveva aggredito e violentato una ragazza e una donna di mezza età, e dopo una breve indagine, il giovane era stato condannato a 12 anni. Forse una suggestione molto forte?
Ovviamente, la storia dell’aggressione ha suscitato un grande clamore e nel luogo in cui si sarebbe consumato questo presunto stupro era stato organizzato un sit-in da associazioni e cittadini a cui avevano partecipato oltre 200 persone. Il sindaco del capoluogo aveva annunciato che l’amministrazione si sarebbe costituita parte civile all’eventuale processo, parlando di “ferita all’intera comunità cittadina”.
La stampa (soprattutto locale) aveva lanciato una caccia mediatica “alle belve straniere”. Secondo il Corriere del Veneto la polizia sarebbe persino riuscita a isolare il dna degli aggressori: i ricercati sarebbero stati “due ventenni nigeriani che vivono sotto i ponti della città”.
«Tutta la mia vicinanza di donna e di madre a questa ragazzina in questo drammatico momento che rischia di segnare tutta la sua vita», aveva scritto su Facebook la presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni. «Fratelli d’Italia chiede tolleranza zero per stupratori e pedofili: pene severissime, senza alcuna possibilità di sconti di pena e in aggiunta a questo, castrazione chimica per i vermi di qualsiasi nazionalità che commettono questi reati».
Mario Giordano, durante la trasmissione Fuori dal Coro, era arrivato persino a dichiarare che: «Questi due nigeriani avrebbero potuto agire per un rito d’iniziazione. C’è la mafia nigeriana e fa dei riti d’iniziazione violenti. In questi riti d’iniziazione sarebbe compreso anche il fatto di andare in giro a stuprare una ragazzina che esce di scuola». E per una “esaustiva” raccolta di tutte le dichiarazioni fatte in quei giorni dal tenore anche apertamente razzista, rimandiamo ad un articolo pubblicato su Next qualche giorno fa).
La polizia aveva, all’epoca dei fatti, controllato una decina di cittadini stranieri, alcuni dei quali sono stati sottoposti a test del Dna. Poi il fermo di due cittadini stranieri, rapidamente rilasciati. Le indagini sono rimaste bloccate per mancanza di elementi e di prove. Sino alla clamorosa confessione della ragazza.
Il sindaco Renzo Caramaschi è ritornato, allora, sulla vicenda, commentando la notizia: «Viviamo in una società purtroppo intrisa di violenza. Certe notizie, vere o false che siano, scatenano altrettanta violenza verbale, maleducata. Per fortuna – ha detto il sindaco – le forze dell’ordine e gli inquirenti, con l’aiuto degli psicologi sono giunti, non senza fatica, alla verità». «Non è che sia sollevato – ha poi aggiunto il sindaco di Bolzano -, perché sono profondamente addolorato per i genitori e per la stessa ragazzina che ha messo in subbuglio e sconvolto un’intera città. Purtroppo questo è il mondo di oggi, dove imperversano le fake news e dove si può dire tutto e il contrario di tutto. Quindi, se da un lato sono contento perché la nostra Città non è come alcuni l’hanno dipinta e descritta dopo il fatto, dall’altro rimane il profondo dispiacere per la famiglia e per la giovane protagonista della vicenda. Ci vuole più cultura, più moderazione, più approfondimento: nella tolleranza credo si ragioni meglio. Dalla violenza verbale, che è frutto dell’ignoranza, si passa alla violenza vera o all’invenzione. Questo è grave e mi dispiace».
Adesso, sono due gli istituti giuridici (messa alla prova e perdono giudiziale) che potrebbero permettere alla giovane (indagata ora per simulazione di reato, ndr) di uscire una volta per tutte dal giudizio penale. Di fatto, la sua posizione non è delle più semplici: oltre ad inscenare lo stupro, è stata anche in grado di farsi considerare in stato di shock per tre giorni dai medici dell’ospedale di Bolzano, dove era stata ricoverata. E solo dopo oltre un mese e mezzo di indagini, in totale assenza di riscontri, gli inquirenti hanno iniziato a sospettare, sino a quando la giovane non ha più retto e ha raccontato la verità.
C’è anche una possibile terza strada che prevede la non punibilità del minorenne, se i fatti contestati risultano non molto gravi. Non sembra comunque il suo caso, visto che la falsa denuncia non solo ha mobilitato gli investigatori per due mesi, ma ha anche creato un pericoloso clima di apprensione e tensione sociale in città, e non solo (vedi i media, ad esempio), che ha fomentato altrettanto odio.
Non è la prima volta che una giovane “simula” e “inventa” un cosiddetto “stupro etnico”. Il caso più noto è quello che portò al rogo della Continassa a Torino (10 novembre 2011): «Erano due zingari, mi hanno violentata», aveva detto una giovane quindicenne, confessando la verità al fratello dopo poche ore: intanto il raid contro l’accampamento in cui vivevano alcune famiglie rom era ormai lanciato.
Più di recente, nel febbraio 2017, a Vigevano una liceale milanese ha denunciato un presunto episodio di violenza avvenuto su un vagone del treno Milano-Mortara, descrivendo i due assalitori come “nordafricani”, poi smentito. E ancora a Milano (agosto 2018) due adolescenti hanno denunciato di essere state stuprate da “uomini di pelle nera” e, in entrambi i casi, incalzate dalle domande degli investigatori, hanno poi ammesso di aver inventato tutto.
In tutti questi casi, naturalmente, che la violenza non ci sia stata è una buona notizia. Ciò che preoccupa è la motivazione che spinge giovani donne ad indicare ed incolpare presunti “stupratori” di origine straniera per giustificare o coprire altre vicende personali. La sensazione è che al fondo di queste false denunce vi sia la convinzione che attribuire allo “straniero” o al “nero” la responsabilità della violenza, consenta di accrescerne la veridicità e l’autenticità, di renderla più credibile.
E ciò dovrebbe preoccuparci, molto.