Il Global Migration Compact è un accordo intergovernativo redatto sotto l’egida dell’Onu, che si appresta ad essere sottoscritto nella Conferenza internazionale che si terrà a Marrakesh il 10 e 11 dicembre prossimi (il testo completo è disponibile qui).
L’uso del lessico inglese nel nostro paese spesso svuota di significato ciò di cui si parla.
E, probabilmente, il Global Migration Compact è rimasto sconosciuto ai più. Sino ad ieri.
Il Governo italiano, per volontà del suo Ministro dell’Interno, ha infatti dichiarato di sospendere la sua adesione dall’accordo, che intende sottoporre alla discussione del Parlamento (sic). Di conseguenza l’Italia non sarà presente a Marrakesh.
Questa assenza significa, fra le altre cose, le seguenti.
No a ridurre al minimo i fattori negativi e i fattori strutturali che costringono le persone a lasciare il loro paese d’origine.
No a migliorare la disponibilità e la flessibilità dei percorsi per la migrazione regolare.
No a agevolare il reclutamento equo ed etico e salvaguardare le condizioni che garantiscono un lavoro dignitoso;
No a salvare vite umane e organizzare sforzi internazionali coordinati per i migranti dispersi.
No a rafforzare la risposta transnazionale al traffico di migranti.
No a utilizzare la detenzione solo come misura di ultima istanza e lavorare per individuare alternative.
No a garantire l’accesso ai servizi di base per i migranti.
No a eliminare tutte le forme di discriminazione e promuovere un discorso pubblico basato su elementi concreti per modellare la percezione della migrazione.
No a creare condizioni affinché i migranti contribuiscano pienamente allo sviluppo sostenibile in tutti i paesi.
No a promuovere il trasferimento più rapido, più sicuro ed economico delle rimesse e favorire l’inclusione finanziaria dei migranti;
No a rafforzare la cooperazione internazionale e la partnership globale per una migrazione sicura, ordinata e regolare.
Questi no ci fanno venire in mente Cose dell’altro mondo, un film di qualche anno fa, dove Diego Abatantuono interpreta un imprenditore del Nord-Est che, a suon di dichiarazioni violente contro gli immigrati sulla Tv locale che finanzia, alla fine si ritrova solo a vivere in una città deserta e bloccata perché tutti i lavoratori stranieri hanno deciso di abbandonarla, stanchi di soprusi e vessazioni. Ne consigliamo la visione a chi lo avesse perso.
Con la sua furia xenofoba, nazionalista e razzista, evoca un Belpaese “ripulito” di bianco come la città del Nord-Est del film, chiuso e isolato dal resto del mondo, ripiegato sulla difesa dei propri confini, schiacciato sull’individualismo, sugli egoismi di campanile, sulla lotta al si salvi chi può, sulla il(legittima) difesa che non conosce limiti nemmeno di fronte a un principio che dovrebbe universale: quello dell’inviolabilità del diritto di esistere.
Chi pensa che tutto questo migliorerà le nostre “bianche” vite e renderà le nostre città più sicure è colpito da un abbaglio e rimarrà presto deluso.
Intanto dovrà prepararsi a vivere in un Paese sempre più isolato.
Letteralmente: fuori dal mondo.