Adeguate strutture di accoglienza, presidi medici e puntuali servizi di informazione e assistenza per i migranti che tentano di arrivare in Francia passando per l’Alta Val di Susa, in Piemonte. Questo è ciò che MEDU (Medici per i Diritti Umani), organizzazione umanitaria che da anni fornisce assistenza sanitaria alle popolazioni più vulnerabili, sia in Italia che all’estero, chiede a gran voce in uno dei suoi ultimi rapporti. Pubblicato lo scorso 3 novembre il “Rapporto sulla situazione umanitaria dei migranti in transito lungo la frontiera nord-ovest tra Italia e Francia” ci restituisce una drammatica istantanea della gravissima situazione nei pressi del confine italo-francese.
Da diversi anni ormai l’Alta Val di Susa e il passaggio nelle Alpi a cavallo tra Italia e Francia sono diventati un percorso alternativo per i migranti desiderosi di dirigersi verso i paesi dell’Europa del nord (Germania e Regno Unito in primis) che troppo spesso sono stati respinti lungo l’altro confine francese, quello all’altezza della città ligure di Ventimiglia. Dal 2017 quindi, il flusso di migranti in Val di Susa è notevolmente aumentato: fino ad agosto 2020 le stime parlano di circa 10.000 persone che hanno raggiunto la Francia attraversando questa parte del confine italiano. Il rapporto pubblicato da MEDU descrive e riassume in maniera precisa proprio ciò che è successo negli ultimi 3 anni in questa zona che per molti migranti è solo una delle tante tappe nel lungo, logorante e pericoloso viaggio alla ricerca di un posto sicuro in Europa.
Le istituzioni e diverse associazioni di volontariato di differente schieramento, ma anche gruppi di cittadini, sono intervenute in forme diverse in questa situazione di emergenza umanitaria, collaborando e cooperando, ovviamente con le rispettive controparti francesi aldilà del confine, fornendo un aiuto essenziale e creando una rete di solidarietà indispensabile. Tanti sono stati i volontari desiderosi di dare una mano e innumerevoli le associazioni che sono intervenute in aiuto ai migranti (Croce Rossa, ASGI, Rainbow for Africa per citarne alcuni). Si tratta di un’assistenza che però non è stata e non è ancora oggi all’altezza della situazione. I flussi, seppure abbiano subito un lieve rallentamento nel 2020 a causa della pandemia da Corona Virus, non si sono mai fermati, anzi sono ripresi copiosamente dopo la fine del primo lockdown. Ciò che preoccupa maggiormente i volontari di MEDU, come emerge nel rapporto, è non solo l’inadeguatezza delle risorse disponibili per l’assistenza medica, sociale e l’accoglienza, che andrebbero implementate e rafforzate, ma anche la maggiore fragilità dei migranti a cui tali servizi dovrebbero essere rivolti. Se infatti nel 2017 i migranti che attraversavano il confine della Val di Susa erano in maggioranza uomini, per lo più molto giovani, provenienti dalla zona sub sahariana e dalla rotta del Mediterraneo, ad oggi la composizione di questo flusso migratorio è completamente diverso. I migranti che decidono di attraversare le Alpi provengono da altre zone geografiche (Afghani, iraniani, curdi ma anche maghrebini che hanno voluto evitare di passare per la Libia, troppo pericolosa, e intraprendere un percorso più lungo ma più “sicuro”), ma, soprattutto, non sono più soli. Nella maggior parte dei casi, come evidenzia MEDU, si tratta di persone perseguitate nei paesi d’origine e ciò fa sì che tutta la famiglia debba lasciare il paese alla volta dell’Europa. Con loro ci sono quindi mogli, spesso incinte, e figli, tanti dei quali sono molto piccoli, addirittura nati senza aver mai conosciuto “casa”, cioè lungo il percorso migratorio. La maggiore “fragilità” dei soggetti a cui dovrebbe essere rivolta assistenza non fa altro che aumentare la necessità di un intervento umanitario urgente e mirato. Ad aggravare ancora di più questa situazione già drammatica e che MEDU definisce ormai al collasso, si aggiunge il fatto che se si guarda ai luoghi di provenienza dei migranti è molto facile intuire come quasi tutti abbiano attraversato il pericoloso percorso migratorio lungo i paesi balcanici, con tutte le terribili conseguenze che questo cammino implica. La rotta balcanica è la principale via d’accesso all’Europa per i migranti che provengono dal Medio Oriente e dai paesi dell’Asia Occidentale. Si tratta di un percorso lungo e impervio. Cosa nota sono purtroppo le violenze delle polizie locali e dei funzionari di Frontex. I migranti che arrivano in Val di Susa dopo aver attraversato i paesi dell’Europa balcanica arrivano provati sia da un punto di vista psicologico che fisico e, di conseguenza, ancora più bisognosi di aiuto e accoglienza adeguati. Non va dimenticato poi che il percorso tra le Alpi che porta dall’Italia alla Francia è, soprattutto in inverno, con le rigide temperature che si registrano in quelle zone, particolarmente pericoloso: tra il 2018 e il 2019 alcuni migranti sono morti di ipotermia e la neve rende difficoltoso il percorso soprattutto se si pensa che ci sono molti bambini.
A tutte queste problematiche si aggiunge anche l’eccezionale situazione di emergenza sanitaria in cui ci troviamo: ad oggi non risultano casi di contagio lungo questo confine, ma in molti casi gli assembramenti sono inevitabili (le strutture sono insufficienti per accogliere tutt*) e questo mette a rischio la salute dei migranti. Ad Oulx, ad esempio, cittadina che funge da snodo verso due diversi possibili percorsi transfrontalieri, ci sono solo due strutture di accoglienza: una istituzionale aperta esclusivamente durante l’orario notturno e una casa cantonale dell’Anas occupata (a cui è stato minacciato però lo sgombero ad oggi non ancora avvenuto) aperta h24. Si tratta di strutture che già in tempi “normali” hanno difficoltà ad accogliere tutti i migranti che arrivano, figuriamoci in un momento come questo in cui è necessario il distanziamento sociale. Un eventuale sgombero della casa autogestita sarebbe un vero disastro, la minaccia c’è stata e non è escluso che ciò possa avvenire molto presto (non sarebbe una novità: già nel 2018 era stato sgomberato lo scantinato occupato di una chiesa a Claviere).
Il quadro (più che drammatico) che emerge dal rapporto di MEDU è chiaro: le strutture di accoglienza sono insufficienti e mancano i presidi medici che possano assicurare assistenza sanitaria a tutte e tutti, in rapporto alla fragilità dei migranti (è necessaria ad esempio la presenza di ginecologi e pediatri).
Ci uniamo all’appello di MEDU per chiedere un celere intervento umanitario e assistenziale in questi luoghi che possa evitare il ripetersi di nuove tragedie, soprattutto ora che ci avviamo verso temperature rigide e dunque, potenzialmente più pericolose