Ridurre i casi di riconoscimento della protezione umanitaria e i tempi di valutazione delle domande di protezione internazionale: sono gli obiettivi prioritari della circolare firmata dal Ministro dell’interno e diramata ieri ai prefetti, ai questori, alla commissione nazionale per il diritto di asilo e ai presidenti delle commissioni territoriali. Ricordiamo che la protezione umanitaria è prevista nel testo unico 286/98 (art. 5 c. 6) quando, pur non accogliendo la domanda di protezione internazionale, la Commissione territoriale ritenga di chiedere al questore il riconoscimento di una forma di protezione per gravi motivi di carattere umanitario.
La circolare del Ministero diramata ieri definisce la disposizione di carattere residuale e considera, evidentemente, eccessivo il numero di persone che hanno ottenuto negli ultimi anni questa forma di protezione che “ha legittimato la presenza sul territorio nazionale di richiedenti asilo non aventi i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale” con “consequenziali problematiche sociali che, nel quotidiano, involgono anche motivi di sicurezza”.
Nel 2016 e nel 2017 le domande di asilo esaminate hanno portato al riconoscimento di questa forma di protezione nel 21% e nel 25% dei casi (stiamo parlando rispettivamente di 18.979 casi nel 2016 e 20.166 casi nel 2017).
Nei primi cinque mesi del 2018 la protezione umanitaria è stata riconosciuta nel 28,2% dei casi esaminati a fronte di un aumento della percentuale di dinieghi (61,2%) e di 4,1% di riconoscimenti della protezione sussidiaria. Lo status di rifugiato è stato riconosciuto solo nel 4,1% dei casi esaminati. Stiamo in ogni caso parlando non di milioni di persone, ma in tutto di circa 40mila domande esaminate. E quelle ancora pendenti risultano complessivamente 136mila.
Nonostante i numeri non siano dunque “allarmanti”, il Ministero sceglie di intervenire in via amministrativa invitando le commissioni territoriali a lavorare a pieno ritmo cinque giorni su sette e a valutare le domande di protezione con “la necessaria rigorosità dell’esame delle circostanze di vulnerabilità degne di tutela che, ovviamente, non possono essere riconducibili a mere e generiche condizioni di difficoltà” per garantire «la salvaguardia degli interessi primari della collettività oltre che dei diritti dei richiedenti».
La circolare di fatto invita a una interpretazione restrittiva di una sentenza della Cassazione (n. 4455 del 23 febbraio 2018) in base alla quale la protezione umanitaria dovrebbe essere concessa solo se le situazioni di vulnerabilità del migrante siano riferibili alle «condizioni di partenza di privazione o violazione dei diritti umani nel Paese d’origine».
Naturalmente il testo diffuso ieri evita di ricordare che laddove è stato presentato un ricorso contro il diniego di protezione, l’esito è risultato positivo nel 75% dei casi nel 2015, nel 49% dei casi nel 2016 e nel 26% dei casi nel 2017 (dati Eurostat).