Sono sempre meno le persone che presentano domanda di asilo nel nostro paese. Secondo i dati dell’Unhcr, in Italia le domande presentate nel 2012 sono state 15.700, meno della metà dell’anno precedente. Una tendenza simile si registra negli altri paesi dell’Europa mediterranea, mentre è opposta in quelli nordici.
Il dato impone una domanda, a cui SenzaConfine ha cercato di rispondere con il rapporto Voci Sospese, presentato la settimana scorsa a Roma.
Andando oltre i numeri, l’associazione ha cercato di “valutare da un punto di vista qualitativo la procedura per il riconoscimento della protezione internazionale”, cercando di capire anche se le varie forme di protezione (internazionale, sussidiaria, umanitaria) accordate dalle commissioni siano le più adeguate ai singoli casi presi in esame.
Nel suo studio, SenzaConfine mette in dubbio la supposta oggettività dei criteri con i quali si stabilisce “se una persona sia meritevole di protezione oppure no”: un’oggettività implicita “nel discorso pubblico e mediatico”, ma la cui relatività “emerge con forza a uno sguardo più approfondito e ‘interno’”. Questa parzialità viene confermata, secondo l’associazione, dalle statistiche sui tassi di riconoscimento della protezione, che SenzaConfine ha paragonato con la sua esperienza “a contatto con le persone che fuggono dai loro paesi”. Lo studio rileva anche la tendenza generale “a pensare che solo da alcuni paesi sia plausibile fuggire, ad esempio dall’Afghanistan o dalla Siria, ma non dalla Turchia, giudicata un paese formalmente democratico”, dalla Nigeria o dal Bangladesh. Accade così che persone provenienti da Paesi non considerati “a rischio” vengano accusati di usare impropriamente la normativa sulla protezione internazionale perché considerati a priori esclusivamente come migranti economici.
Nello specifico, quello che ha potuto notare SenzaConfine attraverso l’analisi di 185 verbali di audizioni, 51 ricorsi e 244 testimonianze raccolte in prima persona dagli operatori dell’associazione, è la presenza di “aspetti di merito particolarmente delicati riguardanti la qualità della procedura per il riconoscimento della protezione internazionale, in particolare carenze e criticità che portano a un diniego in prima istanza, a volte successivamente “ribaltato” da una decisione del Tribunale”. In altri termini, non sempre la procedura seguita dalle Commissioni territoriali “offre al richiedente garanzie che la sua storia individuale venga valutata nel modo più corretto e completo”.
Proprio questo aspetto, profondamente contrario alla “ratio” dell’asilo politico, che è sempre stata quella dell’analisi del caso individuale, sarebbe uno dei motivi per cui sempre più richiedenti asilo cercano di raggiungere paesi europei diversi dall’Italia. SenzaConfine individua dei veri e propri punti problematici che caratterizzano la fase del colloquio con le commissioni: elementi definibili e chiari, come ad esempio la redazione del verbale in forma sintetica e non integrale, o la tendenza riscontrata a volte da parte della Commissione a utilizzare il colloquio come momento di verifica della credibilità in un’ottica di controllo piuttosto che di apertura al racconto del richiedente, nonché la carenza di formazione rivolta ai membri delle commissioni territoriali e agli interpreti.
Nella parte conclusiva del rapporto, SenzaConfine riprende questi punti deboli, fornendo dettagliate raccomandazioni per migliorare la procedura di riconoscimento della protezione, fortemente deficitaria nel nostro paese. A esempio, potrebbe essere utile un costante aggiornamento dei membri delle commissioni, così come la creazione di un sistema informativo pubblico sulla situazione dei diversi paesi da cui provengono i richiedenti asilo, nonché l’adeguata formazione degli interpreti e la redazione di motivazioni dettagliate riguardo la decisione della commissione.
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