Avete mai preso un taxi del mare? Noi no.
E neppure le persone che attraversano il Mediterraneo in cerca di futuro ne conoscono uno. Non sono taxi del mare i barconi dove vengono stipate da chi vende loro il viaggio e non sono taxi del mare le navi delle Ong che le soccorrono quando i barconi sono in difficoltà o vengono abbandonati alla deriva.
Noi lo sapevamo. Con l’archiviazione da parte del giudice per le indagini preliminari di Palermo per la vicenda della nave Golfo Azzurro della Ong tedesca Sea Watch, dovrebbero averlo capito anche coloro che per mesi hanno gridato al business dei migranti o alla convergenza di interessi e cooperazione tra scafisti e navi di soccorso. Secondo il Gip di Palermo, infatti, soccorrere le persone in mare è un dovere e in questo caso specifico, dopo che ignoti avevano portato via i motori dei barconi lasciando le navi alla deriva, era necessario recuperare i naufraghi e portarli in un porto sicuro. Il favoreggiamento dell’immigrazione “clandestina” non c’entra dunque nulla.
Non solo, la Golfo Azzurro era stata avvertita della presenza di barche alla deriva dal Maritime rescue coordination centre, la centrale operativa della Guardia costiera italiana.
Ricordiamo come gli interventi di pubblica sicurezza ai danni delle navi delle Ong sono cominciati a seguito del patto Italo-libico siglato dall’ex ministro degli Interni Minniti e il capo del governo di Tripoli al Serraj. Lo sforzo degli Interni è stato dunque quello di disincentivare in ogni modo le persone già in Libia a intraprendere l’ultima parte del viaggio che le avrebbe portate in Europa. Da un lato pagando la Guardia costiera libica, le tribù del Sud e incentivando il ritorno a casa, dall’altro cercando di fermare il lavoro di soccorso da parte delle Ong. Le indagini di polizia e magistratura infatti ottennero allora enormi titoli di giornale, grande attenzione e furono accompagnate da dichiarazioni di esponenti politici di primo piano. Le Ong hanno subito un colpo economico (sono calate le donazioni), di immagine e sono state messe sotto una pressione molto pesante. L’opinione pubblica si è convinta – almeno in parte – che i buoni samaritani del mare siano in realtà dei bucanieri dediti al profitto e intenti a importare immigrati in Italia.
Niente di tutto questo è vero, ma il rumore di fondo è tanto: ne ha parlato Minniti, con toni più pacati, ne parlano gli attuali vicepresidenti del Consiglio e leader politici della maggioranza, Luigi Di Maio e Matteo Salvini in maniera aggressiva e ripetuta. Marco Travaglio ha elogiato il lavoro del procuratore Zuccaro.
Cosa diranno oggi?
Probabilmente nulla. L’accusa rivolta alla Ong tedesca, accusata anche di essersi diretta verso l’Italia anziché verso Malta per ragioni sospette, cade. I giudici scrivono nella sentenza che lo sbarco in Italia è una “logica conseguenza” di come sono state condotte le operazioni di soccorso. La stessa logica che avrebbe dovuto fare sì che la Acquarius giungesse in un porto italiano invece di dover navigare verso Valencia. Ricordiamoci di questa archiviazione la prossima volta che ci parlano di taxi del mare. Ricordiamoci che lo stesso magistrato che ha aperto i primi fascicoli in un’audizione al Senato disse di non avere prove a sostegno delle sue ipotesi di reato.
L’Italia, è vero, ha un problema di gestione dei flussi provenienti dal mare che altri Paesi europei non hanno. Occorre forse negoziare con l’Europa una modalità migliore di distribuzione del carico dei flussi. Il Parlamento europeo ha avanzato ipotesi interessanti, mentre la bozza che si discute in vista del Vertice a 8 e del prossimo Consiglio d’Europa è pessima e non contiene principi di vera solidarietà tra Paesi.
Ma il tavolo su cui giocare le proprie carte è quello europeo, non la pelle dei migranti o il ponte delle navi che li soccorrono.