Il 25 ottobre è stata presentata in contemporanea nazionale la 28esima edizione del Dossier statistico immigrazione 2018 Idos. “L’Italia è un paese d’immigrazione ormai da 45 anni”, ha ricordato Luca Di Sciullo, presidente del Centro studi e ricerche Idos, in occasione del lancio nazionale del Dossier a Roma, “eppure il web e una certa comunicazione mainstream utilizza ancora alcuni concetti, parole e cliché che sono rimasti invariati da almeno 30 anni. Si parla di invasione, di clandestini, di extracomunitari, di negri; con tutto un corollario di dogmi nazional-popolari, come ad esempio “gli stranieri ci rubano il lavoro, evadono le tasse, aumentano la delinquenza, importano malattie, erodono le risorse delle Stato, ci passano avanti nell’assegnazione dei benefici assistenziali. Si tratta di preconcetti che il Dossier, insieme a diversi altri enti di ricerca e al Centro studi Confronti, da anni ha sistematicamente decostruito”. Con circa 5 milioni di residenti stranieri (5.144.000 a fine 2017, secondo l’Istat), l’Italia viene dopo la Germania, che ne conta 9,2 milioni, e il Regno Unito, con 6,1 milioni, mentre supera di poco la Francia (4,6 milioni) e la Spagna (4,4). Anche l’incidenza sulla popolazione complessiva, pari all’8,5%, è più bassa di quella di Germania (11,2%), Regno Unito (9,2%). Contrariamente alla credenza che vorrebbe il paese assediato e “invaso” dagli stranieri – si legge nel report -, al netto dei movimenti interni il loro numero è pressoché stabile intorno ai 5 milioni dal 2013; e la loro incidenza, nell’ordine dell’8% sempre dal 2013, aumenta di pochissimi decimali l’anno, soprattutto a causa della diminuzione della popolazione italiana, sempre più anziana e tornata a emigrare verso l’estero. Aggiungendo ai residenti stranieri la quota di immigrati che, alla data della rilevazione, non erano ancora iscritti nelle anagrafi, Idos stima in 5.333.000 il numero effettivo di cittadini stranieri regolarmente presenti in Italia, 26.000 in meno rispetto alla stima del 2016. I soggiornanti non comunitari, in particolare, sono – secondo il ministero dell’Interno e l’Istat – 3 milioni e 700mila, un numero sostanzialmente invariato da 3 anni, anche per la consistente diminuzione delle persone sbarcate: 119.000 (-62.000 rispetto al 2016). Un calo divenuto ancor più drastico nel 2018, al punto che – continua il Dossier – il boom di profughi che, attraversando il deserto e il Mediterraneo centrale, sono approdati sulle coste italiane può considerarsi esaurito proprio nel 2017, dopo quattro anni in cui ne sono giunti, nel complesso, circa 625.000. Infatti, secondo i dati Unhcr e Oim, mentre ancora nel 2017 l’Italia ha convogliato il 69% degli oltre 172.000 migranti forzati arrivati in Europa via mare, nei primi 9 mesi del 2018 il numero di persone sbarcate in Spagna (oltre 34.000) e in Grecia (più di 22.000) ha superato quello dell’Italia: poco più di 21.000, un dato “crollato” di circa il 90% rispetto allo stesso periodo del 2017.La quasi chiusura della rotta del Mediterraneo centrale ha determinato anche la drastica riduzione dei minori stranieri non accompagnati (msna) giunti in Italia a seguito di soccorso in mare: a fronte degli oltre 25.800 del 2016, nel 2017 il loro numero è sceso a circa 15.800, per ridursi a 2.900 nei primi sette mesi del 2018. Ne è derivata una forte riduzione di quelli accolti: poco più di 13.000 a giugno 2018, il 26% in meno rispetto allo stesso periodo del 2017. Attualmente l’Unhcr stima in 354.000 i richiedenti asilo (compresi quelli ancora privi di titolo formale o la cui domanda è sotto esame) e titolari di protezione internazionale o umanitaria presenti in Italia, lo 0,6% dell’intera popolazione del paese. Se per un verso il numero assoluto colloca l’Italia al terzo posto nell’Ue, l’incidenza sulla totalità degli abitanti – sottolinea l’edizione 2018 del Dossier – è in linea con la media comunitaria, al pari di quella della Francia e dei Paesi Bassi, ed è preceduta da vari paesi, come la Svezia (2,9%), l’Austria e Malta (1,9%), la Germania e Cipro (1,7%), la Grecia (0,8%), mentre non superano lo 0,1% tutti i “nuovi” Stati membri dell’Europa orientale (ad eccezione della Bulgaria, con lo 0,3%).
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