Era convocata per questa mattina, alle ore 12.00, la conferenza stampa organizzata dal sindacato Intercategoriale SI Cobas insieme ai movimenti per il diritto all’abitare. Un momento di confronto con i giornalisti, per dare conto della situazione in cui si trovano ad oggi le famiglie sgomberate quest’estate dall’edificio di via Curtatone e da quello di Piazza Indipendenza. Proprio qui era prevista la conferenza stampa: che però non c’è stata.
Ad accogliere i giornalisti che hanno risposto all’appello c’erano sette camionette della polizia. Una piazza militarizzata che evidenzia bene come si intende far fronte alle istanze sollevate dal sindacato e dai movimenti, e in generale rispetto alle questioni sociali che i violenti sgomberi compiuti quest’estate, in una Roma semideserta, hanno fatto emergere in modo lampante. E se i blindati non fossero stati un segnale abbastanza chiaro, l’intervento diretto della polizia ha impedito ai delegati sindacali di parlare con i giornalisti. “Siamo stati minacciati di essere identificati e denunciati, addirittura di essere arrestati – hanno denunciato i delegati sindacali di fronte alle telecamere – Siamo un’organizzazione sindacale. Ci deve essere garantita l’agibilità politica e democratica. La situazione è inaccettabile”. In particolare, il sindacato ha evidenziato la situazione di tre persone, accusate di resistenza aggravata per i fatti legati allo sgombero di piazza Indipendenza. Il processo a loro carico si terrà lunedì prossimo, 15 Gennaio. “Per questo processo sono imputati tre rifugiati, incensurati e da lungo tempo residenti in Italia. Uno di essi è un nostro iscritto”, ha sottolineato un rappresentante Si Cobas, specificando che l’uomo, lavoratore nella logistica, si trova ora in regime di custodia cautelare e ha potuto continuare a lavorare solo grazie alla pressione esercitata dai colleghi sull’azienda. “Gli altri lavoratori hanno dimostrato grande solidarietà, istituendo anche una cassa comune per sostenere le spese legali del collega”. La situazione del lavoratore iscritto ai Si Cobas – titolare, come gli altri due imputati, di un permesso di soggiorno per protezione internazionale – fa ben emergere la composizione sociale presente nei palazzi sgomberati: “perché Piazza Indipendenza, al di là delle ricostruzioni giornalistiche e di Polizia, era soprattutto un luogo dove centinaia di lavoratori e lavoratrici dei luoghi dello sfruttamento dell’economia romana, trovavano un alloggio perché i salari ridicoli pagati nei magazzini della logistica, dalle cooperative di pulizia o negli alberghi non concedono di accedere al mercato degli affitti – denunciano il Si Cobas e i movimenti – Ed è proprio contro questa rivendicazione del diritto ad una casa che si è scatenata la repressione delle istituzioni quel giorno, ed ecco perché il processo ai tre imputati è una vicenda che riguarda tutti. Anche perché nessuno dei problemi che gli sgomberi di agosto hanno aperto si è chiuso”.
Dopo gli sgomberi di agosto, infatti, non è arrivata alcuna risposta da parte delle istituzioni.*
La maggioranza delle persone sgomberate da Cinecittà dorme ancora sotto i portici della basilica di SS. Apostoli: sono 150 persone, che il Comune ha censito a settembre per poi di fatto ignorarle. Vengono aiutate con pasti e coperte dai movimenti per il diritto all’abitare – che a turno portano colazione pranzo e cena – da Baobab Experience, da singoli cittadini.
Le persone sgomberate da piazza Indipendenza sono ospitate da amici e conoscenti, a Roma ma anche in altre parti d’Italia e in vari paesi europei; altre hanno trovato riparo in diverse occupazioni abitative della capitale; infine, alle cosiddette “vulnerabilità e fragilità sociali”– donne e bambini, anziani, persone malate, così definite proprio dal Comune – sono stati proposti, come sempre, i centri di accoglienza. Molti non hanno accettato, rifiutando di dividere il proprio nucleo familiare, condizione posta come obbligatoria per ricevere accoglienza. Altri invece si sono detti disponibili, trovandosi così in una condizione di controllo e assenza di autonomia. “Le persone vengono di fatto parcheggiate nei centri, dove viene limitata anche la loro possibilità di incontrare i familiari”. E’ il caso della moglie del lavoratore iscritto al Si Cobas, che non ha potuto passare la notte di Natale con il marito perché non aveva chiesto in anticipo il permesso al responsabile del centro di accoglienza dove si trova, e quindi non gli è stato concesso di lasciare la struttura. Non solo: a distanza di 5 mesi dagli sgomberi, nessuna delle persone presenti nei centri è stata presa in carico dai servizi sociali. Per nessuna è stato dunque ipotizzato l’inizio di un percorso di fuoriuscita dalla cosidetta ‘marginalità’, che anzi è stata acuita dalle istituzioni, con le operazioni di sgombero e la totale assenza di politiche sociali.
Queste le informazioni che Si Cobas e movimenti volevano dare ai giornalisti: circa una ventina di persone in tutto, che sono state circondate dalla polizia e sollecitate ad allontanarsi dalla piazza, seguite passo dopo passo persino nelle vie limitrofe alla piazza. Le proteste dei presenti, che rassicuravano i funzionari della questura circa il fatto che non ci sarebbe stata alcuna manifestazione, non sono state ascoltate. Alla fine la conferenza stampa si è tenuta all’interno del cortile della facoltà di Scienze della Formazione di Roma Tre, in via Milazzo. E anche lì, a un certo punto i partecipanti sono stati invitati ad andarsene, su pressione della polizia presente all’esterno.
Proprio per mantenere viva l’attenzione sulla questione e mettere le istituzioni di fronte alle proprie responsabilità, i movimenti per il diritto all’abitare hanno organizzato un presidio, previsto per il 16 gennaio alle ore 14.30 sotto la sede della Regione.
“La scelta di manifestare sotto la Regione si lega all’ennesima promessa disattesa – spiegano i movimenti – Lunedì 8 gennaio si sarebbe infatti dovuto tenere un incontro organizzato dalla Regione Lazio negli uffici dell’assessorato alle politiche abitative. La Regione poco prima di Natale aveva annunciato di aver reperito un immobile da destinare alle famiglie accampate ormai da cinque mesi sotto il portico della basilica di Ss. Apostoli, a pochi passi da Campidoglio e Prefettura. La prospettiva era dunque che la lunga e sofferta resistenza delle 66 famiglie composte da uomini, donne e tanti bambini e bambine stesse volgendo al termine. Nel pomeriggio dell’8 gennaio, invece, è arrivata l’ennesima doccia fredda, questa volta da parte degli esponenti della giunta Zingaretti. Ad attendere le famiglie vi era infatti solo il capo segreteria dell’Assessore alla Casa Fabio Refrigeri, che si è limitato a comunicare che la Regione non avrebbe intrapreso ulteriori azioni al di là della messa a disposizione di una porzione di un immobile regionale, previa approvazione del Campidoglio. Un vero e proprio scaricabarile, pronunciato dall’unico delegato a metterci la faccia dopo che l’assessore e i suoi colleghi Visini e Sartore hanno deciso elegantemente di dileguarsi. Le persone sono stanche di essere prese in giro, tanto più per fini elettorali. Sollecitiamo la città solidale a mobilitarsi martedì 16 gennaio 2018 a partire dalle h.14.30 sotto la Regione Lazio”.
Serena Chiodo