Cie (che saranno sembra ribattezzati Centri di permanenza per i rimpatri) in ogni regione tranne Val D’Aosta e Abruzzo per ospitare in complesso 1600 migranti colpiti da un provvedimento di espulsione “socialmente pericolosi”; rimpatri più veloci grazie alla stipula di accordi con i Paesi di origine e di transito; “snellimento” della procedura di asilo con eliminazione del secondo grado di giudizio; accoglienza diffusa nei Comuni e persone ospitate coinvolte in lavori socialmente utili. Moschee “ufficiali” e obbligo di predicare in italiano.
E poi (forse) abrogazione del reato di immigrazione illegale.
Nessun cenno alla riforma della legge sulla cittadinanza che dall’ottobre 2015 giace ammuffita in Commissione Affari Costituzionali in attesa di essere discussa.
Severità e accoglienza scandirebbero lo slogan scelto dal ministro dell’Interno Minniti per propagandare il suo piano sull’immigrazione (che ancora il Parlamento non ha ricevuto ufficialmente), di cui i giornali hanno ampiamente anticipato i contenuti.
Una intervista rilasciata all’Espresso qualche settimana fa, chiarisce molto bene la logica che muove il Ministro:
«Da tempo ho un’idea: sfatare il tabù che le politiche di sicurezza siano “par excellence” di destra. È vero che spesso un impulso securitario nella società e nell’opinione pubblica produce uno spostamento a destra dell’elettorato, ma sono da sempre convinto che la sicurezza sia pane per i denti della sinistra. Le moderne politiche di sicurezza sono integrate: non solo repressione, come pensano le destre, non solo interventi di recupero sociale, come riteneva una parte della sinistra. E soltanto una cultura politica di sinistra riformista che non semplifica le risposte può mettere in campo il tentativo di una soluzione integrata alla domanda di sicurezza».
L’idea è chiara ma per niente nuova, basta solo ricordare i contenuti del decreto approvato in un battibaleno dal Governo Prodi dopo l’omicidio di Giovanna Reggiani nel 2007. Allora il ministro dell’interno era Amato, il suo vice era, appunto, Minniti.
Per ora disponiamo solo di dichiarazioni e poco più. Quello che è certo è che la svolta di cui parlano molti quotidiani non c’è. Semmai c’è un sempre più preoccupante scivolamento verso proposte e idee che sino a qualche anno fa i partiti “democratici” non avevano paura di stigmatizzare, quando erano pronunciate dai loro avversari politici. Oggi le stanno risuscitando sapendo già di vendere fumo.
Ne faranno le spese, come sempre, non “gli italiani”, come sostiene in modo demagogico il segretario della Lega Nord, ma le migliaia di persone condannate ad essere rifiutate solo perché nate dalla parte sbagliata del Mediterraneo.
PS: Nel 2015, secondo i dati diffusi dalla Caritas, sono stati individuati circa 34.000 migranti in condizioni di “irregolarità”, 7200 quelli effettivamente espulsi, 8700 quelli respinti in frontiera, circa 18.000 quelli che non hanno ottemperato all’ordine di lasciare il territorio dello Stato. Oltre che dal rifiuto di provvedere all’identificazione da parte dei paesi di origine, l’ostacolo principale all’esecuzione dei rimpatri è quello economico. Eseguire un provvedimento di espulsione con accompagnamento alla frontiera può costare molto, sino a 15000 euro per l’esecuzione di una sola espulsione, a seconda dei paesi. Ecco perché proprio le politiche di rimpatrio sono uno dei nodi su cui si concentra il confronto del governo italiano con l’Europa.