Non tutti sanno dove si trova Boreano. Non tutti sono al corrente della reale situazione in questa piccola contrada nel comune di Venosa, a poca distanza dai campi di Lavello, nella provincia di Potenza. Qui, si trovano numerosi casolari dispersi nelle campagne, costruiti dalla Riforma agraria negli anni ‘50 e, oggi, per lo più abbandonati e fatiscenti. Questi casolari sono, da anni, uno dei luoghi in cui abitano i tanti braccianti africani (soprattutto burkinabé, ivoriani, sudanesi e ghanesi) durante i mesi di raccolta del pomodoro. Pochissimi tra questi migranti arrivano attraverso gli annuali decreti-flussi emanati dal governo, pochissimi trovano lavoro attraverso i Centri per l’impiego. La maggior parte di loro giunge attraverso le reti sociali e i contatti informali, o spessissimo attraverso la mediazione di caporali. Pochi tra questi migranti sono stanziali in Basilicata o nel foggiano. Molti, invece, sono quelli che si spostano per tutto il Sud Italia seguendo le campagne di raccolta (Rosarno, Piana di Sibari, Castelvolturno, Nardò, Palazzo, Cassibile…). Alcuni sono ragazzi di seconda generazione, figli di operai che vivono nelle città del Nord. Molti sono richiedenti protezione internazionale o possiedono lo status di rifugiato, altri sono irregolari.
La cosa che accomuna tutti questi braccianti è il fatto di andare a vivere nel “ghetto” sia perché non hanno denaro, sia perché il “ghetto” offre servizi e “protezione”. E paradossalmente e ossimoricamente il “ghetto” finisce per creare, per alcuni, anche un senso di “comunità”. Da 20 anni in Basilicata, si ripete oramai sempre lo stesso scenario.
Dal canto suo, la Regione Basilicata, ha costituito, già da tempo, una task force per “l’emergenza” dei lavoratori braccianti immigrati nella campagne di Boreano. Diversi tavoli tecnici si sono susseguiti a cui “Fuori dal ghetto” e Osservatorio Migranti Basilicata hanno partecipato, senza tuttavia alcuna possibilità di incidere sulle decisioni e sulle azioni da prospettare.
I braccianti sono da sempre braccati da una sorta di persecuzione mediatica da parte della task force regionale che proclama appelli di sgombero imminenti, senza tuttavia né darne seguito fattivo, né tantomeno (e cosa ancor più grave) trovare una concreta soluzione alternativa al problema. Nessuna risposta sulle residenze, sulle politiche della casa, sul caporalato e lo sfruttamento lavorativo e sul lavoro nero.
Ed è di qualche giorno fa, l’ennesimo proclama, piuttosto aggressivo nei toni, che proviene sempre dalla Regione Basilicata e che annuncia, attraverso Pietro Simonetti, del Coordinamento politiche migranti della Regione Basilicata, di non poter più tollerare che “Boreano sia una zona franca” e che pertanto essa “va eliminata”. L’Osservatorio migranti di Basilicata, in un comunicato stampa, ribadisce che è ormai da decenni, che si chiede di “eliminare” l’area di Boreano, ma in maniera di certo differente da quanto si prospetta allo stato attuale da parte della Regione. L’OMB si rammarica del fatto che “i toni e le argomentazioni utilizzate siano sempre le solite: tuonare contro i “cattivi” di turno, ovvero i caporali e gli agricoltori, ma anche i commercianti del sesso, messi in un unico calderone assieme anche ai volontari e gli abitanti delle comunità rurali, per far passare il messaggio che è la Regione a muoversi verso la “legalità”, per poi produrre, di fatto, soluzioni che oggi si chiamano “Centri di Accoglienza per Lavoratori Stagionali”, delle vere e proprie strutture di negazione delle libertà e dei diritti fondamentali dei lavoratori”.
L’OMB, nel suo comunicato, conclude con un auspicio: “Le conquiste di civiltà si fanno a piccoli passi e con gesti concreti. Vivere nel “ghetto” non è cosa facile. Eliminarlo sembrerebbe la soluzione più facile, ma non la più scontata. L’apertura al confronto ci ha sempre caratterizzato, e ancora una volta lasciamo la porta aperta a chi vorrà interloquire. Se qualcosa, per davvero, si vuol cambiare e costruire”.
Come dire che, di fatto, ogni anno, si accendono e poi si spengono i riflettori su Boreano, questa sorta di “città invisibile” ai più. E che, se ora si riaccendono, possiamo solo sperare che, visto l’ennesimo proclama, si ascolti e non cada nel vuoto l’appello di chi da decenni lavora al fianco dei braccianti, solo con la forza dei volontari.