Proseguono le indagini, avviate dalla Direzione distrettuale antimafia della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, che hanno portato alla luce una realtà fatta di vessazioni e violenze di stampo mafioso ai danni dei commercianti immigrati, in particolare provenienti dal Bangladesh, presenti con le proprie attività nel quartiere palermitano di Ballarò.
Un’operazione di polizia che ha avuto un forte impulso proprio dopo la coraggiosa presa di posizione di alcuni lavoratori di origine straniera, decisi ad opporsi a una situazione che li opprimeva da troppo tempo. Una reazione, quella dei cittadini immigrati, arrivata anche a seguito della gravissima aggressione a Yusupha Susso, lo studente 21enne che lo scorso 2 aprile era stato ferito alla testa con un colpo di arma da fuoco sparato da Emanuele Rubino, 28enne palermitano poi arrestato – insieme al fratello – con l’accusa di tentato omicidio. Susso aveva reagito all’ennesimo atto di sopraffazione, e per questo era stato aggredito, rincorso e colpito alla nuca da un colpo di pistola, che lo aveva mandato in coma – coma dal quale fortunatamente era uscito illeso (ne abbiamo parlato qui). L’aggressione era avvenuta in via Maqueda: e proprio dalla via prende il nome l’operazione di polizia, che dalla vicenda, dal coraggio di Sussa, e dalla presa di posizione del quartiere – e in particolare dei lavoratori immigrati – ha assunto una nuova spinta, andando a rivelare un racket di estorsioni che colpiva in modo particolare i lavoratori stranieri.
Dopo il tentato omicidio del giovane studente, il quartiere – singoli cittadini e associazioni – era sceso in piazza, denunciando “un quadro di violenza diffusa che pervade in maniera crescente la nostra città trovando nei soggetti più deboli, come molti migranti, le prime vittime e i principali capri espiatori”. Una manifestazione di solidarietà che aveva dato ai lavoratori immigrati presenti a Ballarò, da anni vessati dall’organizzazione mafiosa, la forza per segnalare la situazione. In particolare, tredici lavoratori di origine straniera hanno denunciato i loro ricattatori, portando all’arresto, a fine maggio, di dieci persone, accusate di estorsione, incendio, rapina, violenza privata, lesioni personali e tentato omicidio: tutti reati aggravati dal metodo mafioso e dalla discriminazione razzista.
L’ultimo tassello dell’operazione – in ordine cronologico – è il sequestro di beni per 200mila euro a Alessandro Cutrona, già arrestato nell’ambito dell’operazione. La polizia ha infatti confiscato due attività commerciali in via Calderai – un negozio di casalinghi e un internet point – e un’automobile. Nei confronti di Cutrona è stata inoltre emessa una condanna per rapina aggravata e lesioni personali, oltre che un’ordinanza di custodia cautelare personale per tentata estorsione, aggravata dall’utilizzo del “metodo mafioso”. Dalle sentenze emerge infatti che Cutrona – insieme a Gaetano Presti – si occupava di riscuotere le somme estorte “per conto dell’associazione mafiosa Cosa Nostra, indirizzando le richieste estorsive con una chiara evocazione del sodalizio e spendendone perciò la forza di intimidazione”.