Lo scorso 12 gennaio è stato aperto (o tristemente riaperto), attraverso una “procedura negoziata per l’affidamento urgente del servizio della gestione straordinaria”, il CPR di Palazzo San Gervasio, in provincia di Potenza, in Basilicata. Il Centro è stato affidato alla Engel Italia srl, azienda ben nota alle cronache nazionali già dal 2014, per gravi irregolarità nella gestione di un centro di accoglienza, l’Hotel Engel, a Paestum, emerse dopo le visite ispettive di alcuni parlamentari e dopo le denunce della Cgil di Avellino e della campagna LasciateCIEntrare (per un approfondimento leggi qui).
Le associazioni locali, guidate dall’Osservatorio Migranti Basilicata, e affiancate dalla Campagna LasciateCIEntrare e l’Asgi, già lo scorso dicembre hanno tentato di sensibilizzare l’intorpidita opinione pubblica lucana all’imminente riapertura del centro con un comunicato congiunto e un appello per dire no al CPR, fatto seguire da una richiesta d’accesso alla struttura, poi negata senza grosse motivazioni dalla Prefettura. “Se per il governo è urgente aprire il Centro di permanenza per i rimpatri di Palazzo San Gervasio – concludevano le associazioni- per tutti noi la vera urgenza è quella di ritrovare il senso di umanità che stiamo smarrendo. Invitiamo tutti a riflettere su questo tema e a contribuire alla costruzione di iniziative di contrasto e resistenza alla dilagante deriva razzista e autoritaria”.
La struttura, confiscata alla criminalità organizzata, era stata dal 1999 utilizzata prima come tendopoli per i braccianti stranieri stagionali delle campagne circostanti (specie nell’agro di Boreano e Mulini Matinelle, tristemente noti per i ghetti informali e la presenza di caporali), poi come centro accoglienza per richiedenti asilo ed infine, nell’aprile 2011, trasformato in pochissimi giorni in un CIE, attivo per alcuni mesi prima della chiusura.
La giornalista Raffaella Cosentino, con una sua inchiesta, era riuscita ad entrare nel centro e a portare alla luce quanto accadeva al suo interno (qui un video). La successiva ispezione dei parlamentari Touadì, Calipari e Giulietti, constatava una situazione inaccettabile: una sessantina di cittadini tunisini reclusi in condizioni disumane. E il CIE chiudeva vergognosamente i battenti.
Dopo l’annuncio del 13 marzo scorso dello svuotamento progressivo dell’hotspot di Lampedusa in vista dei lavori di ristrutturazione, anche grazie alle segnalazioni e agli esposti di Cild, Asgi e IndieWatch (noi ne avevamo parlato qui), circa 200 tunisini sono stati smistati nei vari CPR italiani. Stiamo parlando, lo ricordiamo, di richiedenti asilo illegittimamente trattenuti nell’Hotspot di Lampedusa, ben oltre i tempi costituzionalmente prestabiliti e esposti al rischio rimpatrio.
Per 24 di loro, è stato disposto dal questore di Agrigento il trattenimento nel CPR di Corso Brunelleschi, a Torino, in attesa di essere espulsi. Il 22 marzo, tuttavia, il Giudice del Tribunale di Torino ha rigettato la richiesta fatta dalla Questura, di convalida di trattenimento nel CPR, sul duplice presupposto dell’inammissibile “standardizzazione” dell’elemento della pericolosità affermato per tutti i 24 ricorrenti e della assoluta mancanza di prova sulla sussistenza di tale requisito (a questo proposito si veda l’approfondita analisi pubblicata su ADIF).
Secondo le scarne notizie circolate nei circuiti informali delle associazioni, altri 20 cittadini tunisini sono stati invece trasferiti nei CPR di Palazzo San Gervasio. Dopo pochi giorni, domenica 18 marzo, è iniziato uno sciopero della fame che è durato per almeno due giorni. Sino a quando è stato concesso loro di vedere finalmente il legale di fiducia da loro nominato. Il 21 marzo, in tarda serata, è giunta la notizia dell’arrivo di almeno altri 20 cittadini tunisini, sempre provenienti da Lampedusa. Uno di loro, tentando di scavalcare il muro di cinta del CPR, alto oltre tre metri, si è ferito cadendo ed è stato portato in ambulanza all’ospedale San Carlo di Potenza.
Dunque, ai 30 detenuti iniziali (all’apertura del CPR, ndr) si sono poi aggiunte oltre 40 persone, detenute in una sorta di cantiere a cielo aperto (da portare ad una capienza massima di 150 persone, ndr), con una sola ala in funzione e il reticolato che circonda solo una parte del muro di cinta.
Intanto, la situazione è stata segnalata a più riprese al Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, mentre il referente dell’Asgi Basilicata, ha provato ad incontrare anche la Prefettura per illustrare le difficoltà riscontrate nell’accedere al Centro, pur essendo il legale di fiducia, oltre all’estremo ritardo dell’invio delle nomine (cosa che ha condotto a delle convalide del trattenimento in presenza di un mero avvocato d’ufficio).
Nel frattempo è ripreso lo sciopero della fame, la tensione è salita ed è giunta anche la visita al CPR del neoeletto senatore leghista lucano, Pasquale Pepe, il primo rappresentante del Parlamento (!) a visitare il centro per sedare le “numerose preoccupazioni trasferite da gente del posto e non solo”, solidarizzare con le Forze dell’Ordine e chiedere che i migranti detenuti nel centro siano “rimpatriati il prima possibile nei loro Paesi di origine”.
Nel pomeriggio di ieri, un gruppo di attivisti del CSOA Anzacresa, ha protestato all’ingresso del CPR. Gli slogan gridati al di là delle griglie metalliche della “voliera” hanno però avuto l’effetto di incitare alla protesta all’interno e infiammare gli animi. Questo ha provocato l’immediata reazione delle Forze dell’ordine che hanno caricato i detenuti, provocando alcuni feriti (secondo quanto riportato dai familiari stessi dei tunisini).
Ovviamente di tutto ciò non si parla. Parlare di luoghi di detenzione, nei quali non si sa più dov’è il diritto, è scomodo. Le notizie che trapelano giungono soltanto grazie alle associazioni locali che stanno presidiando la situazione insieme ai familiari dei detenuti.
Si attendono, adesso, gli esiti del riesame delle convalide presso il Tribunale di Potenza, sperando che almeno la giurisprudenza si allinei dal lato dell’umanità e della ragionevolezza, come a Torino.