“Di Ong si è parlato molto in Italia in questi ultimi anni. E si continua a farlo. A proposito e a sproposito.”
Esordisce così il documento diffuso in questi giorni da Link2017, associazione che riunisce 14 organizzazioni non governative, Ong e trasparenza. Realtà e normativa in essere.
Un documento utile, visto che ogni occasione è buona e ogni mezzo sembra lecito per proseguire la campagna di criminalizzazione di ogni forma di solidarietà in corso da tempo, con un particolare accanimento contro le Ong che hanno scelto di salvare vite umane con missioni di ricerca e soccorso in mare e contro gli enti coinvolti nella gestione del sistema di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati. Ne ripercorriamo alcuni passaggi essenziali.
Alcuni numeri
Il documento ci ricorda innanzitutto, dati Istat alla mano, che il mondo non-profit è ampio e variegato: 343.432 enti non profit censiti al 31 dicembre 2016 che impiegano 812.706 lavoratori dipendenti, per l’84,5% a tempo indeterminato. Per la gran parte si tratta di associazioni (85,1%). Il resto è costituito da cooperative sociali (4,5%), fondazioni (2,2) e altre forme giuridiche (8,2%). Vi lavorano prevalentemente donne (71,9%). Sono invece il 13,2% della popolazione di 14 anni e più le persone che nel 2016 hanno svolto almeno un’attività gratuita in forma organizzata. Cultura, sport e ricreazione sono le attività prevalenti per la grande maggioranza degli enti (64,3%), si occupa di assistenza sociale e protezione civile il 9, 4%.
Le ong che fanno cooperazione e solidarietà internazionale sono in tutto 1.314 (l’1,17% del totale) e occupano 2.758 dipendenti, pur avendo conosciuto una crescita del 21,5% tra il 2011 e il 2016. Le loro attività sono disciplinate dalla legge 125/2014 che riconosce tra le loro priorità “la promozione dei diritti umani, la prevenzione dei conflitti, la pace, lo sradicamento della povertà, le pari opportunità, la riduzione delle disuguaglianze”.
Trasparenza
Un approfondimento è dedicato alle norme sulla trasparenza così come previste a seguito della riforma del terzo settore. “Gli enti con bilanci superiori al milione di euro devono depositare il bilancio sociale presso il Registro Unico Nazionale degli enti di Terzo settore (RUNT) istituito dalla riforma oltre che pubblicarlo sui propri siti. E quelle con bilanci uguali a o superiori a 220.000 euro, devono redigere il bilancio di esercizio (stato patrimoniale, rendiconto gestionale e relazione di missione). Gli enti con entrate inferiori, possono limitarsi al rendiconto di cassa, ma se le entrate superano 100.000 euro devono pubblicare nel proprio sito gli eventuali compensi attribuiti ai componenti degli organi di amministrazione e controllo, ai dirigenti e agli associati.” Obblighi particolarmente stringenti sono previsti per gli enti che hanno rapporti economici con la pubblica amministrazione e in materia di raccolta fondi.
La cooperazione e i “taxi del mare”
E passiamo alla parte più politica del documento.
Link2007 ricorda bene che le “navi delle Ong” sono scese in mare perché gli Stati non c’erano più: “È dovere di ogni Stato garantire piena tutela e protezione alle vittime dei traffici criminali, degli abusi, della schiavitù e dello sfruttamento. Lo si sta facendo? Evidentemente no. Di fronte all’inerzia e al cinismo dei governi questi soggetti non governativi hanno voluto e vogliono offrire almeno una risposta: salvare vite umane.”
Secondo. Ricorda che il blocco degli arrivi o la consegna alla guardia costiera libica dei migranti rintracciati in mare significano lasciarli in balia di un paese, la Libia, in cui violenze, torture, stupri e condizioni di detenzione inumane sono all’ordine del giorno.
Terzo. Evidenzia ciò che nel dibattito pubblico è di fatto rimosso: dall’inizio della crisi nel 2008, pur essendo prevista dal T.U. 286/98, la programmazione dei flussi migratori, è stata di fatto bloccata. Non è stato più possibile arrivare in Italia per vie “legali” né per motivi economici né per chiedere asilo. I decreti flussi hanno autorizzato l’ingresso di poche migliaia di persone l’anno e i corridoi umanitari per richiedenti asilo sono stati sperimentati per iniziativa non dello Stato, ma della Tavola Valdese e della comunità di S.Egidio. “Si è quindi lasciato libero spazio a criminali e mafie internazionali che hanno ingannevolmente propagandato la facilità dell’emigrazione illegale, incentivandola e sfruttandola a proprio vantaggio.”, conclude il documento.
Il vero “pull factor” dei barconi che attraversano il Mediterraneo sono dunque le frontiere chiuse. Non da ora, da molti anni.
Ma né l’Italia né l’Europa, sembrano volerne prendere atto, lasciando migliaia di persone in balìa dei trafficanti, del mare o dell’inferno libico.
Grazia Naletto