Ma davvero, nel Circondario Empolese-Valdelsa?
In seguito alle due cronache sul centro di Accoglienza per richiedenti asilo di Meleto, frazione di Castelfiorentino (leggi qui e qui), non pochi conoscenti da varie parti d’Italia mi hanno scritto per esprimere preoccupazioni e meraviglia. Come è possibile che ciò accada nel Circondario Empolese-Valdelsa, protagonista anni fa di una presa di coscienza, da parte degli amministratori, sulle politiche migratorie, capace di esprimere, linee programmatiche per l’accoglienza dei lavoratori immigrati?
Tracce di questo protagonismo sono ancora presenti nella memoria della storia dell’antirazzismo: la partecipazione alla Carta d’intenti di Livorno del 1993, l’assemblea della Rete nazionale Antirazzista, svoltasi tra San Miniato ed Empoli nel 1996; i dati straordinari della raccolta delle firme per tre leggi di iniziativa popolare, di cui una sulla cittadinanza, sempre nel 1996, poi naufragate per la presenza di un governo “amico”; la severa e documentata contestazione a Pisa nel 1997, nei confronti del ministro Napolitano che illustrava il progetto di legge che poi portò il suo nome, da parte di sindaci del suo stesso partito. Per non parlare della vitalità di un associazionismo che ha contribuito a costruire un patrimonio di sapere riconosciuto in tutta Italia.
La dissoluzione di un patrimonio politico-culturale
Ma le date parlano chiaro, sono tutte sbilanciate negli anni 90. A un’azione precoce e incisiva non è seguita una continuità nel governo locale. Da anni si assiste allo smantellamento, da parte delle amministrazioni locali, di strumenti di intervento di provata validità, come il Centro Interculturale, nonché di sportelli e luoghi di aggregazione; e molti lettori ricorderanno un momento simbolicamente alto di questa involuzione culturale e politica, la trasformazione, nel 2009, dell’assessorato ai diritti di cittadinanza nel comune capoluogo, Empoli, in assessorato “ai diritti e doveri di cittadinanza”: un cambiamento non solo di nome, ma soprattutto di passo, un azzeramento del patrimonio culturale e amministrativo costruito in un ventennio.
Sarebbe lungo fare l’elenco della disfatta, che sicuramente è anche del movimento solidarista e antirazzista, ma la cui gran parte è dovuta alla cancellazione della memoria delle politiche migratorie locali. Sindaci e assessori nuovi, con poche eccezioni, non sanno neppure che cosa si faceva negli sportelli, nei coordinamenti tra funzionari e impiegati dei diversi comuni, nei momenti di formazione diffusa; anche il semplice riferimento ai dati in genere trascura la banca dati che, a sorta per iniziativa del volontariato, a partire dal 1995 illustra con centinaia di tabelle e grafici ogni anno la composizione della popolazione immigrata e l’evoluzione del fenomeno, permettendone un monitoraggio continuo e perciò contribuendo a un possibile governo del territorio.
I dati del Circondario, molti e chiari
Nel 2014, 292 files (su una popolazione complessiva di 175.000 residenti!) hanno ribadito, tra le altre cose, il contributo eccezionalmente positivo che i nuovi cittadini hanno fornito per evitare il collasso demografico. Basti pensare che l’indice di vecchiaia dei soli cittadini italiani sfiora nel Circondario la quota catastrofica di 200 e scende intorno a 160 solo grazie alla presenza dei lavoratori immigrati dai paesi poveri e delle loro famiglie. Analoghi dati riguardano gli indici demografici di dipendenza e di ricambio. In altre parole, gli immigrati presenti contribuiscono in maniera decisiva alla produzione, al mantenimento di anziani (autoctoni al 97% gli ultrasessantacinquenni) e dei minori. Grazie alla loro presenza, alla loro età giovane e alle nascite di bambini che vengono raffigurati ancora come estranei, c’è qualche speranza di evitare catastrofi demografico-produttive.
Risorse lamentate come pesi: il mondo alla rovescia
Non sembra averne idea il nuovo sindaco di Fucecchio, delegato dai suoi colleghi dell’Unione comunale all’immigrazione. Fucecchio è una cittadina di circa 24000 abitanti, le cui attività produttive sono state a partire dagli anni 90 rivitalizzate dall’apporto di una immigrazione (prima da Marocco e Senegal, poi da Cina e Albania, infine da Romania e Georgia; 61 in totale le nazionalità presenti) che ora costituisce il 18,26% della popolazione; ma i bambini sotto i 5 anni sono il 35%, gli anziani poche decine (in prevalenza nonni giunti dall’Albania, a carico dei propri figli e privi di pensione); circa il 30% della popolazione tra i 20 e i 40 anni è di nazionalità non italiana. I 4000 immigrati compensano una perdita della popolazione di circa mille unità, il 5%, negli ultimi venti anni. L’indice di vecchiaia della popolazione di cittadinanza italiana supera nettamente quota 200.
Tutt’altro si capisce dal discorso del sindaco di Fucecchio: un fardello, da sommare al nuovo fardello di poche decine di richiedenti asilo, questi ultimi meno del 2 per mille della popolazione. E’ quanto si apprende da una breve intervista del 29 luglio (vedi qui). Certo, l’immagine del fardello-profughi viene suggerita dal cronista; ma il sindaco non vi si sottrae, anzi, rimane confinato nel frame fardello. Nelle ultime settimane la metafora del fardello, applicata ai profughi, è rimbalzata da Alfano all’Unione Europea, e questo basta a un cronista di provincia per ripeterla come uno slogan; se sapesse che è tristemente nota come pesante eredità del colonialismo (il fardello dell’uomo bianco di una poesia di Kipling), di cui nei decenni scorsi ci siamo vergognati, forse la eviterebbe. Forse.
Ma un sindaco, e per giunta di Fucecchio, non può accettarla e ribadirla; e invece: “Nel mio comune, e la situazione è analoga a Empoli e Castelfiorentino, il tasso di immigrazione era già alto prima delle ondate di profughi. La prefettura ci chiede quotidianamente di accogliere altri disperati, ma non vogliamo esasperare la situazione delle nostre cittadine.”
Sommando i profughi ai lavoratori immigrati già presenti con le loro famiglie, si addizionano pere a patate, come ci insegnavano a evitare alle elementari. E si spogliano dei loro connotati sociali e dei loro percorsi esistenziali sia gli uni che gli altri, li si riduce a oggetti di una presunta solidarietà. Non si dice che si tratta di cifre irrisorie, in confronto, 350 nel Circondario, un richiedente asilo (in prospettiva, e non ancora) ogni 500 abitanti, rispetto ai 21.450 immigrati dai paesi poveri, lavoratori da anni e decenni qui, con le loro famiglie.
Disperati chi?
Un numero, 350, solo lievemente più alto in media rispetto al dato nazionale, di 74.000 richiedenti asilo. E’ questa l’ondata, il fenomeno naturale minaccioso evocato dal Sindaco; un’immagine inutilmente allarmistica che, espressa da un amministratore, produrrà guasti nel discorso pubblico. Quanto all’epiteto di disperati, per quanto usuale presso i media, sembra davvero incongruo, e dovuto a una non conoscenza delle persone in carne ossa di cui si parla. La prossimità a molte delle persone sbarcate negli ultimi anni e negli ultimissimi giorni ci ha fatto capire per prima cosa che sono tutto tranne che disperati, e che questo epiteto, come si era già capito una decina di anni fa, ricade su chi lo usa. Farebbe bene, il sindaco Spinelli, ad ascoltare con attenzione le storie dalla voce dei richiedenti asilo, a incrociarne gli sguardi; e forse capirebbe che non si tratta di disperati. Forse.
L’accoglienza non costa nulla
Dicendo di dovere affrontare disagi seri dei suoi concittadini, Spinelli trascura di ricordare che agli Enti Locali l’accoglienza dei richiedenti asilo non costa nulla. Anzi, i soldi dell’accoglienza – secondo i dati del Ministero degli Interni, quasi un miliardo di euro l’anno – derivano da fondi non locali, italiani e soprattutto europei. La parte italiana di questa cifra è abbondantemente ripagata dalle tasse pagate dai lavoratori immigrati, con un attivo di 4 miliardi di euro l’anno, nonostante gli sperperi, i costi della corruzione e della militarizzazione del Mediterraneo, etc. (leggi qui).
Per i 400 comuni interessati, si tratta di un afflusso di soldi, per pagare stipendi a operatori del terzo settore, affitti ai proprietari di immobili, somme considerevoli ai fornitori di generi alimentari, alle farmacie, ai bar, alle cartolerie, contributi per lavori di manutenzione di edifici pubblici, etc. La direttrice dello SPRAR (il sistema di accoglienza che fa capo a Ministero e Associazione dei Comuni), Daniela di Capua (leggi qui) sostiene che per i Comuni e i cittadini “l’accoglienza è vantaggiosa da diversi punti di vista, quello culturale sicuramente, ma anche quello economico”. Perché anche il sindaco Spinelli, come tanti suoi colleghi leghisti, parla di pesi? Come meravigliarsi delle lamentele prodotte nei cittadini con allarmismi irresponsabili, diffusi ma non per questo meno colpevoli?
L’alibi, l’emergenza
Il sindaco Spinelli dirà che qui si eccepisce su battute poco rilevanti rispetto allo scopo della sua intervista, che era quella di richiamare altri Comuni a sopportare il fardello etc. E’ proprio questo il problema: che cosa è rilevante, parlando di richiedenti asilo? Lamentare numeri irrisori come catastrofi, o dotarsi di un progetto di accoglienza che garantisca la correttezza e la competenza dei soggetti che gestiscono i centri, l’adesione delle attività svolte alle indicazioni della normativa, protocolli che rendano efficace l’azione e assicurino risultati positivi di inserimento e di buon esito delle pratiche burocratiche che riguardano i richiedenti asilo? Conosciamo abbastanza bene la situazione su scala nazionale e locale, per potere affermare che in questo momento le amministrazioni della zona non sono dotate delle competenze adeguate per coordinare le azioni e renderle più efficaci, anche se si tratta di accogliere poche decine di persone. Ci piacerebbe che se ne rendesse conto anche il Sindaco Spinelli, quale delegato a questo tema da parte dei colleghi dell’Unione comunale. Alcuni soggetti impegnati – ma non tutti – sono senz’altro meritori nel loro lavoro, evitando il richiamo all’emergenza (inventata) che ha condotto a convenzioni con la prefettura incapaci strutturalmente di avvicinarsi agli standard di accoglienza e rispetto indicati dalla normativa. Ma in altri casi la logica di un’emergenza evitabile conduce a pratiche discutibili, non illuminate da formazione, sapere, saper fare. Le amministrazioni che Spinelli rappresenta possono far molto per garantire standard dignitosi, se la smettono di enfatizzare numeri e buone intenzioni; quelle di cui è lastricata la via dell’inferno. E alcuni altri amministratori mostrano di rendersi conto che l’emergenza non esiste (leggi qui). Ma è urgente che si rimettano a costruire un patrimonio di sapere e di saper fare che ha contrassegnato tali amministrazioni anni fa, che andrebbe rinnovato e che appare invece in buona parte dilapidato.
Qualche nuova traccia c’è, in alcuni dei Comuni del Circondario e nella ricostruzione di un movimento di opinione significativo, che chiede che si governi invece di invocare emergenze inventate. Il richiamo all’emergenza copre inadeguatezze, furbizie, omissioni come quelle che hanno portato alla situazione di Meleto. Bisogna compiere scelte radicalmente diverse, e dotarsi di competenze e strutture concettuali all’altezza di questi nuovi compiti.