E’ passato più di un anno da quando, il 18 settembre 2014, Shahzad Kan fu ucciso dai colpi infertigli da un giovane di 17 anni, in via Ludovico Pavoni, nel quartiere romano di Torpignattara. E oggi arriva la condanna per il padre, pronunciata dalla terza Corte d’Assise: 21 anni di reclusione per concorso in omicidio volontario. L’uomo, affacciato alla finestra, incitò il figlio a colpire ripetutamente la vittima, un cittadino pachistano di 29 anni, fino a ucciderlo. Avrebbe inoltre minacciato alcune persone che avevano assistito al pestaggio. L’aggressore è stato invece condannato a otto anni di reclusione dal Tribunale dei minori.
Una vicenda molto grave: sia per il fatto in sé – un uomo ucciso a calci e pugni, in mezzo alla strada, da un minorenne-, sia per il modo in cui i mass media scelsero di dare la notizia – rivelando dei dettagli sulla situazione della vittima, descrivendolo come uno “sbandato” che aveva provocato il giovane.
Informazioni poi smentite dalle indagini: e che comunque, seppure fossero state confermate, non avrebbero in alcun modo potuto giustificare l’omicidio. Anche la reazione di parte del quartiere fu preoccupante: alcune persone, soprattutto vicine alla famiglia del giovane aggressore, manifestarono in sua solidarietà (qui approfondimenti).
La notizia di oggi rende ancora più grave quanto successo: il 17enne agì infatti incitato dal padre. Un elemento che dovrebbe indurci a riflettere sulla società in cui viviamo. E che ci riguarda tutti.