“Il 3 luglio più di 50 migranti e rifugiati hanno perso la vita in Libia a seguito di un attacco aereo che ha colpito il centro di detenzione di Tajoura a est della capitale Tripoli“. Comincia cosi la dichiarazione congiunta di OIM e Unhcr con la quale lanciano un appello all’Unione Europea e all’Unione Africana “affinché non si ripetano mai più tragedie di questo tipo. La comunità internazionale dovrebbe considerare la protezione dei diritti umani dei migranti e dei rifugiati un elemento centrale del suo impegno in Libia“.
Le due organizzazioni chiedono “in maniera prioritaria che i 5.600 migranti e rifugiati attualmente detenuti in Libia siano liberati in maniera ordinata e che sia loro garantita protezione“. O, in alternativa, “che possano essere evacuati verso altri paesi dai quali procedere con tempestive procedure di ricollocamento“.
E ribadiscono a chiare lettere: “La pratica della detenzione arbitraria per coloro che vengono salvati in mare e riportati in Libia deve cessare. Esistono reali alternative“.
Il comunicato prosegue con un’altra esortazione: “Bisogna fare tutto il possibile per evitare che le persone soccorse nel Mediterraneo vengano riportate in Libia, Paese che non può essere considerato un porto sicuro. In passato, le imbarcazioni dei Paesi europei che conducevano operazioni di ricerca e soccorso hanno salvato migliaia di vite, anche grazie alla possibilità di effettuare le operazioni di sbarco in porti sicuri. Questo schema operativo è vitale e dovrebbe essere ripristinato, per gestire il fenomeno in un’ottica di responsabilità condivisa a livello europeo.
Allo stesso modo, le imbarcazioni delle ONG hanno svolto un ruolo simile nel Mediterraneo e non possono essere penalizzate perché salvano vite in mare. Alle imbarcazioni commerciali non può esser indicato di ricondurre in Libia le persone soccorse in mare“.
E concludono: “Non è ammissibile che una tragedia simile possa accadere di nuovo. Proteggere vite umane deve rappresentare la priorità assoluta“.