1700: sono le persone che ogni giorno, secondo l’Oim (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, qui la nota ufficiale), hanno provato a raggiungere l’Europa via mare durante i primi undici giorni del 2016. Giorni già macchiati dai decessi di quanti e quante tentano di cambiare paese attraversando il Mediterraneo, il “più letale dei tragitti” come definito dall’Unhcr nel 2014, quando in questo percorso sono stati registrati 3.419 morti. La tragicità di questi numeri non ha portato a un cambiamento della situazione: nel 2015 sono state 3000 le persone che hanno perso la vita in mare, come sottolineato dall’Oim. Cifre da brividi, a cui corrispondono nomi, vite, persone: sembra assurdo doverlo sottolineare ancora, ma l’indifferenza, prima di tutto delle istituzioni europee e nazionali, nei confronti di questa strage, impone anche tali terribili considerazioni. Mentre l’Oim diffonde i dati dell’incessante perdita di vite umane, tragica evidenza dell’inerzia politica, a Santa Maria di Leuca, in Puglia, le autorità italiane recuperano il corpo di una donna di cittadinanza somala. Dalle prime ricostruzioni sembrerebbe che la donna sia stata gettata in mare dai trafficanti, insieme ad altri trentasette connazionali, i quali sono fortunatamente riusciti a salvarsi. Otto persone risultano ancora disperse. Donne e uomini che, dalla Turchia, si spostavano verso la Grecia per poi tentare di raggiungere l’Italia. “Quando la barca si è avvicinata alle coste, i trafficanti li hanno obbligati a lanciarsi in acqua. Le donne, che si sarebbero rifiutate, sono state picchiate”, sottolinea il portavoce di Oim Flavio Di Giacomo riportando le parole dei superstiti.
Per quanto riguarda la Grecia, stando ai dati rilasciati dalle autorità elleniche e ripresi dall’Oim, i migranti arrivati nel 2015 nella penisola proverrebbero da oltre 70 paesi: Siria, Iraq e Afghanistan le nazioni maggiormente rappresentate, con circa 777.000 arrivi sugli 848.000 registrati in totale.
I dati che diffonde l’Oim impongono una riflessione davvero non più rimandabile. Da anni le persone muoiono nel disperato tentativo di vivere in un paese diverso dal proprio, devastato da povertà, violenze, guerre. Gli altissimi rischi di questi viaggi non fermano le persone: e non potrebbe essere altrimenti. Internet consente di osservare – dalla sicurezza delle nostre case – paesi distrutti dai bombardamenti, violenze inaudite e condizioni di vita al limite della sopportazione. Chi viaggia è consapevole dei pericoli, ma preferisce affrontare il rischio: che resta una eventualità, di fronte alla certezza della devastazione nel proprio paese. Davanti ai tanti video presenti on-line, basta fare un piccolo sforzo di immedesimazione per capire che non è poi così estraneo alla logica umana provare a mettere in salvo se stessi e i propri familiari, cercando un futuro migliore. Quello che è invece incomprensibile è perché da anni le persone sono costrette a affrontare viaggi spesso mortali mettendosi nelle mani dei trafficanti, invece di potersi affidare a canali legali e sicuri. Al di là delle infinite discussioni istituzionali – che ad oggi hanno portato solo a un inasprimento dei controlli e a un innalzamento delle frontiere europee- fino a che duemila persone al giorno saranno disposte a rischiare la vita pur di scappare dal proprio paese, le cose da fare, e in modo urgente, sono due: impegnarsi a migliorare le condizioni dei paesi di uscita, e nel frattempo rendere sicuri e legali i viaggi verso l’Europa.