C’era una volta un gruppo privato di finanzieri che su Facebook si lasciava andare a commenti violenti, razzisti e sessisti. Ce l’avevano con Carola Rackete, le Ong e migranti. Il gruppo ha/aveva 16mila membri, esisteva da 9 anni, è stato creato da un maresciallo in congedo dal 1996 ed è stato individuato da The Vision.
Interessante sottolineare come il gruppo denominato “Il finanziere” avesse lo stesso nome della testata ufficiale della Guardia di Finanza, per leggere la quale occorre inserire il proprio numero di matricola o il numero di abbonamento. Anche il gruppo su Facebook in questione si diceva chiuso a coloro che non sono finanzieri in attività o in pensione. A pensare bene, si può immaginare che una parte delle migliaia di membri del gruppo siano stati tratti in inganno dal nome che ricalca quello della loro testata.
Non staremo qui a riportare le parole d’odio che i membri del gruppo si sono scambiati nei giorni immediatamente successivi alla vicenda della SeaWatch3 e del fermo del suo capitano. Chi vuole può leggerli nell’articolo di The Vision. Si va dalla “puttana” all’invito, la prossima volta, “ad aprire il fuoco contro, sparare, uccidere”. Oppure, a impiccare sulla pubblica piazza in diretta Tv. Fino alla necessità di un bel colpo di Stato.
Non temete, al momento non è in atto nessun colpo di Stato. I partiti di opposizione hanno presentato interrogazioni e richiesto ai ministri competenti di riferire in aula e il ministro Tria ha comunicato di aver avviato un’indagine. Gli autori dei commenti razzisti e sessisti sarebbero solo 80. Ma nessuno delle migliaia di membri del gruppo si è sognato di denunciarli, nemmeno di segnalarli a Facebook. Un finanziere ha invece contattato The Vision per segnalare diversi altri gruppi come quello scoperto.
Quel che invece è in atto è una pericolosa deriva nei comportamenti e negli atti delle persone e delle istituzioni. Una pervasività di toni e comportamenti violenti, sessisti e xenofobi che è difficile rintracciare nella storia della Repubblica. Attenzione però, non è solo colpa del governo: il governo è un sintomo e, magari, un incoraggiamento. Certi gruppi, certi discorsi e comportamenti, un malinteso spirito di corpo li abbiamo ritrovati molte volte in anni recenti: i casi Cucchi, Aldrovandi, Magherini hanno fatto scattare reazioni tanto brutte quanto quelle contenute nel gruppo dei finanzieri. Di pochi giorni fa è la rivelazione da parte di ProPublica del gruppo di guardie di frontiera statunitensi che si scambiavano commenti razzisti sulle persone che fermano al confine.
Proviamo a fare qualche considerazione rapida.
La prima riguarda i social network e la loro scarsa capacità di monitorare e poi bandire chi usa toni violenti, incita alla violenza, al razzismo, all’odio. Sulle piattaforme sociali sembra essere consentito ciò che non è consentito fare in un luogo pubblico. Queste sono ormai luoghi pubblici gestiti da privati e questi, che grazie agli scambi che guadagnano miliardi, hanno il dovere di bandire certi usi. Ma come ha raccontato bene l’ex socio facebook Roger McNamee in “Zucked”, non ne hanno alcuna intenzione. Non gli conviene. Mentre scriviamo il gruppo è ancora al suo posto.
Il discorso vale anche per i gruppi privati. Non si tratta di salotti in cui ognuno dice quel che vuole, ma di gruppi che possono influenzare e diffondere idee odiose.
Veniamo alle responsabilità istituzionali. Non ci piace parlare del ministro degli Interni perché se ne parla sin troppo e così facendo resta al centro dell’agenda politica. I toni da lui usati sono però una sorta un “tana libera tutti”. Se il ministro parla di “pirati fuorilegge” o pubblica le foto di ragazze minorenni per metterle alla gogna, è più facile che davanti a un Pc tu ti senta legittimato a dire o scrivere qualsiasi cosa. Tanto è per scherzo. Questa è una grave responsabilità di tutte le figure pubbliche che usano un certo linguaggio e certi toni. Vale per i ministri e i parlamentari, come per i direttori di giornali che usano con spregiudicatezza il linguaggio d’odio (ultimo esempio qui).
A Lunaria siamo impegnati da tempo a ragionare sul discorso d’odio. Alcune formule, soprattuto quando sono ripetute e propagate all’infinito, determinano un cambiamento del clima culturale del paese (“sono terroristi”, “sono inconciliabili con la nostra cultura”, “c’è un piano per sostituire noi con gli africani”, “ci costano troppo”). In alcuni casi si tratta di un sostrato culturale arcaico e sospettoso di chiunque sia percepito come “diverso”: “gli zingari rubano i bambini” è in uso da secoli. Spesso c’è invece un disegno consapevole secondo cui alimentare storie fasulle o distorcere quelle vere, fa crescere il consenso verso un’idea della società escludente e brutale.
Per questo il caso del gruppo Facebook di finanzieri è tanto inquietante.
(Martino Mazzonis)