Si è giunti finalmente all’epilogo. Dopo undici giorni in mare, finalmente, alla Ocean Viking è stato assegnato il porto di Pozzallo per lo sbarco, mentre Francia, Germania e Italia hanno trovato un accordo per la ricollocazione sia dei migranti che si trovano sulla nave sia per i novanta che sono sulla Alan Kurdi.
Ma siamo alle solite. Ci siamo ritrovati nuovamente a dover assistere a scene di disumanità. E sembra di essere tornati indietro ad agosto scorso, quando la nave Open Arms era rimasta bloccata davanti a Lampedusa per ben 20 giorni.
Di fatto, si è trattata dell’ennesima palese violazione delle convenzioni internazionali e dei diritti umani.
Oggi, è toccato alla nave Ocean Viking, bloccata in mare da ben 11 giorni, prima di essere autorizzata allo sbarco. Ha transitato in acque internazionali tra l’isola siciliana di Linosa e Malta, con a bordo 104 migranti salvati a una cinquantina di miglia dalla Libia. L’equipaggio ha ribadito più volte che a bordo la situazione era molto difficile («Hanno ferite causate da acqua bollente o plastica fusa versata sulle braccia, tagli di coltello sulla schiena e le gambe, traumi da percosse. Un uomo ha una ferita sulle labbra, è stato picchiato al volto: lo fanno soprattutto per estorcere denaro alle famiglie mentre sono in detenzione in Libia. Diverse donne e ragazze, ma anche uomini, hanno subito violenze sessuali. Alcune hanno assunto contraccettivi prima di intraprendere il viaggio, sapevano che avrebbero rischiato di essere violentate», documentano i volontari di MSF), anche a causa dell’arrivo della pioggia e delle temperature più basse degli ultimi giorni. Il 18 ottobre avevano rifiutato l’approdo a Tripoli, porto decisamente non sicuro. Due giorni dopo, la nave aveva giustamente chiesto un “porto sicuro” a Malta e all’Italia. Ma né da La Valletta né dal ministero dell’Interno c’era stata alcuna risposta. E intanto il tempo scorreva.
Sos mediterranee e Medici senza frontiere, le ong che gestiscono la Ocean Viking, hanno sollecitato, attraverso un appello (noi lo abbiamo pubblicato qui) la conclusione della “prolungata e inutile permanenza in mare” della nave, che ospita anche 41 minori (i più piccoli hanno solo due mesi) e due donne incinte.
Ma la Ocean Viking non era la sola nave di salvataggio in attesa dell’autorizzazione ad attraccare in un porto sicuro. C’era anche la Alan Kurdi di Sea Eye che, mentre stava cercando di prendere a bordo 92 migranti (tra di loro anche nove minori e una donna incinta) a Nord ovest di Zuwara, si è vista circondare i gommoni di salvataggio da parte di due motoscafi con mitragliette e bandiera libica, che sparavano colpi di avvertimento in aria e in mare, terrorizzando i naufraghi e minacciando l’equipaggio.
E nel frattempo, l’Ong Sea Watch ha fatto sapere di aver avvistato un gommone in pericolo (maggiori info qui) con a bordo anche bambini nel mezzo di un temporale ad una quarantina di miglia dalle coste Tripoli: “Una guardia costiera che trascina le persone nel dramma dei campi libici e ignora un caso di distress in mare con maltempo, non agisce con lo scopo di salvare vite umane. Anche oggi, il nostro aereo da ricognizione Moonbird, ha individuato un piccolo gommone in difficoltà. Il nostro equipaggio ha seguito la barca per ore e ha cercato di informare la nave mercantile Vos-Aphrodite, distante poche miglia, cercando di coordinare un salvataggio. Purtroppo invano. Nessuna delle navi nelle vicinanze è intervenuta per soccorrere”. Una nave si sta dirigendo verso quella zona per i soccorsi, ma sono necessarie ore di navigazione prima di raggiungere il gommone. E chissà poi, quando le sarà assegnato un porto sicuro.
Sul caso Ocean Viking sono intervenuti alcuni politici (davvero pochi, ndr) per chiedere che i migranti venissero fatti sbarcare con urgenza. Ma si è dovuto attendere ben 11 giorni per ottenere una decisione.
La Commissione europea ieri aveva lapidariamente commentato: «Seguiamo con attenzione i casi che riguardano Ocean Viking, Alan Kurdi e Open Arms. Non siamo coinvolti in questi incidenti ma siamo pronti a fornire aiuto, se ci dovesse essere richiesto. Le discussioni sui ricollocamenti proseguiranno nelle prossime settimane».
E in Italia, nonostante la nuova maggioranza, il nuovo Governo e gli illusori “buoni auspici”, i porti sono di fatto rimasti chiusi, oltre che sordi agli appelli, sino a poche ore fa.
E si fa davvero fatica ad accettare che forse davvero nulla è cambiato e che, ad oggi, fra i due Governi c’è più continuità che rottura, in materia di immigrazione.
E sebbene, dopo due anni, le ong che si occupano di soccorso in mare, abbiano varcato pochi giorni fa nuovamente la soglia del Viminale (lo avevano già fatto nel 2017, quando il ministro dell’Interno era Marco Minniti, ndr), per incontrare la nuova ministra Luciana Lamorgese, passi in avanti non ce ne sono stati. All’incontro hanno preso parte, insieme ai vertici del Ministero dell’Interno, anche i rappresentanti del ministero degli Esteri e del Comando generale del corpo delle capitanerie di porto. Con loro, Medici Senza frontiere, Mediterranea, Open Arms, Pilotes Volontaires, Sea Eye, Sea Watch e Sos Mediterranèe.
E malgrado l’intenzione dichiarata della ministra Lamorgese di coniugare “umanità” e “legalità”, con la necessità che le operazioni di salvataggio avvengano nel rispetto delle regole, l’intenzione più esplicita è quella di continuare a lavorare proprio a partire da quel “codice di condotta” sottoscritto due anni fa solo da una parte delle stesse ong. Ancora continuità.
Intanto non si può non esprimere perplessità e forte preoccupazione per il decreto emesso dal Consiglio presidenziale del governo di accordo nazionale libico, che porta la data del 14 settembre e ha come oggetto “Il trattamento speciale delle organizzazioni internazionali e non governative nella zona libica di ricerca e salvataggio marittimo”. Il documento, tradotto dall’ufficio immigrazione Arci (qui la traduzione) e reso noto da Repubblica (qui l’articolo con il testo), composto di 19 articoli, sarebbe stato inviato al governo italiano, che proprio nei prossimi giorni dovrà decidere sull’eventuale rinnovo degli accordi bilaterali sulla gestione dei soccorsi in mare con la Guardia costiera libica (tanto per richiamare la “continuità” di cui parlavamo). Si tratta dell’ennesimo pericoloso tentativo di ostacolare ed osteggiare ancor di più l’operato delle ong e delle navi di salvataggio, ma soprattutto di aggredirle con violente operazioni di polizia con la minaccia di condurle e sequestrarle nei porti libici.
Proprio per questo diventa importante fare pressione in ogni modo possibile per chiedere il blocco della proroga automatica del memorandum stretto con il Governo libico che scatterà il 2 novembre, se il Governo non deciderà di intervenire.