Da oggi, una nuova missione dell’agenzia europea per il controllo delle frontiere Frontex entra in azione, sostituendo Triton, attiva dal 2014. L’operazione è stata denominata Themis – in continuità con l’accostamento che l’Unione Europea continua a fare tra operazioni di controllo e divinità antiche – e ha l’obiettivo di “assistere l’Italia nelle attività di controllo delle frontiere”, come segnalato dalla stessa Frontex. Il superamento di Triton era stato sollecitato dal governo italiano, che ora accoglie il cambiamento con soddisfazione, parlando di “un esempio particolarmente significativo di effettiva solidarietà e cooperazione”, e sottolineando che la missione contribuirà a contrastare l’immigrazione irregolare, le attività criminali e i tentativi dei terroristi di raggiungere l’Europa.
Dunque anche con Themis – nonostante alcuni cambiamenti rispetto al passato e la rassicurazione espressa da Frontex rispetto al fatto che le operazioni di ricerca e soccorso continueranno a essere una componente fondamentale – l’impianto di base resta “il contrasto all’immigrazione irregolare”: una frase priva di senso senza un concreto ripensamento della normativa di ingresso. Vale la pena infatti ricordare che attualmente le persone che vogliono raggiungere l’Italia e l’Europa devono avere già un contratto di lavoro nel paese di arrivo, quindi in pratica essere chiamate dal datore, oppure, se fuggono dalla propria terra a causa di guerre, persecuzioni e violenze, devono presentare domanda di protezione internazionale una volta raggiunta l’Europa, quindi di fatto viaggiando in modo illegale – e rischioso. Se davvero la politica volesse contrastare l’immigrazione irregolare e salvare vite umane, evitando orrori indicibili alle persone, avrebbe dunque la possibilità di farlo intervenendo sul piano normativo.
Restando sul passaggio da Triton e Themis, cosa cambierà concretamente?
Nuove aree di pattugliamento
Sono state istituite nuove aree di pattugliamento, in base al modificarsi dei flussi. Le aree sarano due, entrambe nel Mar Mediterraneo centrale: una ad est – per i flussi migratori da Turchia e Albania – e una ad ovest – per quelli che partono da Libia, Tunisia e Algeria. Sulla base di queste modifiche, i mezzi italiani arriveranno a 24 miglia dalle coste: una riduzione della zona operativa di competenza rispetto agli obblighi attuali.
L’operazione prevede un sistema di valutazione trimestrale, per consentire eventuali modifiche in caso di cambiamenti nei flussi migratori.
Porto sicuro
Le persone soccorse in mare dovranno essere portate nel porto più vicino, dando così seguito alla legge del soccorso in mare sancita dalla Convenzione di Aburgo del 1979, finora disattesa. Si dovrà far riferimento al Centro di coordinamento per i soccorsi in mare di competenza territoriale per capire dove far arrivare le imbarcazioni. Una notizia che sembra sgravare l’Italia da questo onere, sulla carta: nella pratica i centri di coordinamento di altri paesi europei si trovano lontano dai luoghi in cui generalmente avvengono le operazioni di soccorso, e nello specifico lontano dalle aree di pattugliamento. Solo Malta si trova nel raggio geografico di azione dei soccorsi. Quindi, nel concreto, sarà difficile che siano altri porti se non quelli italiani a farsi carico di gran parte degli sbarchi delle navi intercettate. E sorge anche il rischio che si verifichino rimpalli di responsabilità tra paesi: un elemento non secondario visti i tragici precedenti (si veda ad esempio “Braccio di ferro Italia-Malta, nave ong dichiara un’avaria ed entra nel porto di Pozzallo“, o “«Stiamo morendo, per favore»: le telefonate del naufragio dei bambini”). Basandosi sul concetto di ‘porto sicuro’, non sarà possibile effettuare gli sbarchi in Paesi terzi, come Tunisia, Marocco e Libia, vista la situazione del paese, le torture subite dai migranti che arrivano fino alla riduzione in schiavitù (si veda a tal proposito Migranti: “La Libia è un inferno senza fine“. L’appello di Oxfam: l’Italia revochi l’accordo).
Terrorismo e criminalità
Attenzione rafforzata sulle azioni di intelligence e polizia, volte da una parte all’identificazione di possibili terroristi di ritorno da Siria e Iraq, e dall’altra a monitorare e contrastare tutti i traffici criminali, non solo quelli relativi alla tratta delle persone, ma anche alle sostenze stupefacenti.
La missione prevede inoltre il mantenimento del personale Frontex negli hotspot e nelle zone di sbarco italiane, dove continueranno ad assistere le autorità nazionali nelle operazioni di identificazione e fotosegnalamento delle persone.