Il pluralismo, la tempestività e la gratuità sono i connotati fondamentali dell’informazione dei nostri giorni. In questo contesto è sempre più difficile ottenere e produrre un’informazione corretta e di qualità, così come rispettare e garantire la libertà d’espressione, senza che questa venga utilizzata come escamotage per diffondere informazioni false e alimentare i discorsi d’odio. La sfida principale è rappresentata dal mondo dei social network, la cui regolamentazione è sempre più urgente.
Questi i temi al centro dell’incontro ‘Informazione in Europa: quale libertà? Pluralismo dei media, accesso alle informazioni, contrasto all’hate speech’, organizzato la scorsa settimana dall’associazione Carta di Roma insieme all’Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa.
Durante l’incontro hanno avuto modo di confrontarsi, con la moderazione di Luisa Chiodi (direttrice dell’Osservatorio), alcuni esperti del mondo dell’informazione: Giovanni Maria Bellu (presidente di Carta di Roma), Elisa Marincola (portavoce di Articolo 21), Pavlos Nerantzis (tra i promotori della Carta di Idomeni) e Nadia Bellardi (rappresentante di Community Media Forum Europe).
Guardando allo stato della libertà di stampa nel nostro Paese, è inevitabile fare riferimento al dato diffuso di recente da Reporter Sans Frontieres. Nell’indice annuale della libertà d’informazione nel mondo l’Italia fa un balzo in avanti, passando dalla 77esima alla 52esima posizione. Un dato positivo, sebbene relativo. Come infatti sottolinea Marincola: «Sulla situazione italiana si riflette ciò che accade a livello globale, abbassamento complessivo del livello qualitativo dell’informazione, tendenza a cercare un uomo forte in politica. Si registra una tendenza diffusa a intervenire in maniera sanzionatoria attraverso uno strumento che in Italia è diventato di massa, quello della querela e della lite temeraria».
Parole che trovano riscontro nello stesso report di RSF, che riconosce come in Italia i lavoratori dell’informazione siano oggetto di continue intimidazioni, in primis da parte della politica. Il report cita il M5S come esempio.
Il comportamento degli esponenti del movimento è in effetti paradigmatico di quanto si possa nuocere all’informazione: da una parte sono querelati o additati pubblicamente giornalisti scomodi – e il giornalista stesso per definizione dovrebbe essere tale –, dall’altra vengono diffuse con leggerezza – o forse impertinenza – fake news.
Si pensi alle recenti, tristissime, affermazioni di Luigi Di Maio che si rivolge alle Ong operanti nel Mediterraneo bollandole come ‘taxi’. L’attuale vice presidente della Camera dei deputati attribuisce la paternità di questa espressione al rapporto ‘Risk Analysis 2017’ di Frontex, nel tentativo così di legittimare le sue affermazioni. Mezzo di diffusione di una tale notizia è in primis la bacheca Facebook del parlamentare.
Questo caso è un ottimo esempio per identificare il problema da affrontare: si tratta di una notizia falsa, viaggia sui social network, alimenta i i discorsi d’odio. Lo dice chiaramente Bellu: “la sfida è salvare la libertà di stampa quando il giornalista viene querelato per una notizia vera, pubblicata sul suo giornale, e il ‘concorrente’ [utente dei social network, ndr] non viene sanzionato per una notizia falsa, che poi rappresenta un caso di hate speech”.
Per combattere questa tendenza e salvare la professionalità dell’informazione occorre regolamentare la possibilità di esprimersi sulle piattaforme social. Non è realistico lasciare alle stesse aziende private, come Facebook, il compito di sanzionare tali comportamenti, dal momento che si tratta di multinazionali finalizzate al profitto e non alla salvaguardia della libertà d’espressione.
Sarebbe però sufficiente applicare le leggi già in vigore per il giornalismo tradizionale, che regolamentano l’informazione e che sanzionano quella falsa e tendenziosa; norme che nessuno ha mai additato come lesive della libertà d’espressione.
Seguendo tali direttive sulle piattaforme social, senza limitare la libertà d’espressione si contrasterebbe la diffusione di fake news – che di fatto rappresentano un ostacolo a questa stessa libertà, oltre ad alimentare i discorsi d’odio. “Questi – sottolinea Bellu – sono di fatto fake news, che si perpetuano nel tempo. Il discorso d’odio si fonda infatti in larga parte sul pregiudizio razzista, o sull’idea che esista una categoria del genere umano che non ha dignità in quanto tale. Non si tratta di conciliare il contrasto a questo con la libertà di informazione: è esso stesso l’ostacolo”.